«Via la teca dell'Ara Pacis». Si riapre il caso
Paolo Conti
Corriere della Sera 1/5/2008
Alemanno contro l'opera di Meier. Ma l'architetto: è il terzo monumento più visitato
Sgarbi plaude al primo cittadino: «Ora mi sento vendicato».
Fuksas: inutile abbatterla, condoniamola
ROMA — «La teca di Richard Meier è un intervento invasivo da rimuovere. Ci impegniamo a rivedere tutti gli interventi negativi fatti nel centro storico ma ci sono emergenze più forti in altre aree di questa città che sono abbandonate».
Il neosindaco di Roma, Gianni Alemanno, non delude ma anzi galvanizza il suo elettorato e ripete da primo cittadino ciò che disse nel maggio 2006 nelle ore dell'inaugurazione del monumento (con tanto di manifestazione pavesata di tricolori all'ingresso): «Uno sfregio per la città. Smontiamola e portiamola in periferia». Poi, sempre ieri, ha aggiunto che proporrà, quando sarà possibile, un referendum per trasferire l'edificio in un'altra zona della città, probabilmente in periferia. La prima reazione di Richard Meier da New York: «Sono pronto a discutere col nuovo sindaco».
L'era culturale di Alemanno comincia con un annuncio clamoroso, la promessa di far sparire l'opera affidata nel 1995 dall'allora sindaco Francesco Rutelli (per chiamata diretta e col voto del Consiglio comunale ma senza un concorso internazionale, come sottolinearono i detrattori) a una delle massime archi-star del mondo.
Vittorio Sgarbi esulta da Milano: «Ora mi sento vendicato». Da sottosegretario ai Beni culturali si oppose duramente al cantiere (in aperto contrasto col ministro Giuliano Urbani, che Sgarbi accusò di incapacità) parlando di «pompa di benzina texana» in perfetta sintonia con la scuola di architettura britannica patrocinata dal principe Carlo del Galles, che usò l'identico paragone petrolifero, e con Silvio Berlusconi («una mostruosità»).
L'ex assessore alla Cultura della giunta Veltroni, Silvio Di Francia, pensa invece a uno «smantellamento per astio, meglio costruire per il futuro». Un altro nemico storico dell'intervento di Meier, l'architetto e urbanista Massimiliano Fuksas («un'opera fuori scala») la prende a ridere: «Chissà che Alemanno non decida di ripristinare anche la Spina di Borgo, sciaguratamente distrutta nel Ventennio per dar spazio a via della Conciliazione. In Italia non siamo riusciti a sanare nove milioni di case abusive. Inutile abbattere Meier. Ma sì, adesso condoniamo anche lui...»
Dal 1995 a oggi la storia dell'Ara Pacis è stata lastricata di problemi e di discussioni. Sui tempi: nel '96 Meier promise l'inaugurazione per la fine del 1999 in vista del 2000, invece si slittò fino a metà 2006 tra un rinvio e una perizia di variante sul cantiere. Sui costi: nel febbraio 2007 la procura regionale della Corte dei Conti aprì un'inchiesta per il raddoppio dei costi (dai 7 milioni di euro preventivati ai 14 finali) ma, come assicura l'ex assessore all'Urbanistica Roberto Morassut, tutte le procedure tecniche e amministrative «poche settimane fa sono state giudicate corrette».
Poi le polemiche. E che polemiche. Federico Zeri odiava l'intervento, contestando a Richard Meier di conoscere la Roma antica «quanto io conosco il Tibet». Paolo Portoghesi non usò giri di parole: «Un ecomostro, peggio di Punta Perotti». Alberto Arbasino tagliò corto: «La vecchia "teca" dell'Ara Pacis probabilmente si poteva riparare risparmiando, e pulendo di più i vetri». Il riferimento era alla «scatola» di Vittorio Ballio Morpurgo del 1939, considerata da non pochi architetti e urbanisti un perfetto esempio del razionalismo italiano.
Il New York Times approdò a Roma durante il taglio del nastro e stroncò il contenitore di Meier: «Un autentico flop, l'espressione contemporanea di ciò che può accadere quando un architetto feticizza il suo stile per autoesaltarsi, un'opera assurdamente sproporzionata, indifferente alla nuda bellezza del tessuto denso e ricco della città che le sta intorno».
Giorgio Muratore, docente di Storia dell'arte e dell'architettura contemporanea a «La Sapienza»: «Anziché sostituire una teca si aggiungono un auditorium, un ristorante, un museo, un sottopasso con affaccio sul Tevere». Francesco Rutelli rimase convinto della sua scelta: «Un'opera bellissima». Ma furono in molti a rinfacciargli il suo desiderio di lasciare, quasi a tutti i costi, una propria traccia urbanistica legata alla sua carica di sindaco. Probabilmente lì affondano le vere radici della decisione di Gianni Alemanno. Walter Veltroni, da ministro per i Beni culturali e poi da sindaco di Roma, ammise «gli inevitabili conflitti e conservatorismi italiani che però si dissolvono a favore di un riconoscimento della bellezza dell'opera».
Alemanno, durante la campagna elettorale, assicurò anche altri interventi sull'area antica della città: «Mi impegno a rimuovere la vergogna dei tubi innocenti sul Colosseo, uno dei monumenti più belli del mondo». E ancora: «Via i cordoli che delimitano le corsie preferenziali. Nasceranno commissioni di valutazione per la realizzazione del parcheggio del Pincio e per la rimozione dei sampietrini in via Nazionale». Ecco un'altra notizia: l'Ara Pacis è solo la prima tappa di un itinerario che potrebbe portare al blocco del mega-parking progettato nelle viscere del Pincio, difeso a spada tratta da Walter Veltroni...
Paolo Conti
Corriere della Sera 1/5/2008
Alemanno contro l'opera di Meier. Ma l'architetto: è il terzo monumento più visitato
Sgarbi plaude al primo cittadino: «Ora mi sento vendicato».
Fuksas: inutile abbatterla, condoniamola
ROMA — «La teca di Richard Meier è un intervento invasivo da rimuovere. Ci impegniamo a rivedere tutti gli interventi negativi fatti nel centro storico ma ci sono emergenze più forti in altre aree di questa città che sono abbandonate».
Il neosindaco di Roma, Gianni Alemanno, non delude ma anzi galvanizza il suo elettorato e ripete da primo cittadino ciò che disse nel maggio 2006 nelle ore dell'inaugurazione del monumento (con tanto di manifestazione pavesata di tricolori all'ingresso): «Uno sfregio per la città. Smontiamola e portiamola in periferia». Poi, sempre ieri, ha aggiunto che proporrà, quando sarà possibile, un referendum per trasferire l'edificio in un'altra zona della città, probabilmente in periferia. La prima reazione di Richard Meier da New York: «Sono pronto a discutere col nuovo sindaco».
L'era culturale di Alemanno comincia con un annuncio clamoroso, la promessa di far sparire l'opera affidata nel 1995 dall'allora sindaco Francesco Rutelli (per chiamata diretta e col voto del Consiglio comunale ma senza un concorso internazionale, come sottolinearono i detrattori) a una delle massime archi-star del mondo.
Vittorio Sgarbi esulta da Milano: «Ora mi sento vendicato». Da sottosegretario ai Beni culturali si oppose duramente al cantiere (in aperto contrasto col ministro Giuliano Urbani, che Sgarbi accusò di incapacità) parlando di «pompa di benzina texana» in perfetta sintonia con la scuola di architettura britannica patrocinata dal principe Carlo del Galles, che usò l'identico paragone petrolifero, e con Silvio Berlusconi («una mostruosità»).
L'ex assessore alla Cultura della giunta Veltroni, Silvio Di Francia, pensa invece a uno «smantellamento per astio, meglio costruire per il futuro». Un altro nemico storico dell'intervento di Meier, l'architetto e urbanista Massimiliano Fuksas («un'opera fuori scala») la prende a ridere: «Chissà che Alemanno non decida di ripristinare anche la Spina di Borgo, sciaguratamente distrutta nel Ventennio per dar spazio a via della Conciliazione. In Italia non siamo riusciti a sanare nove milioni di case abusive. Inutile abbattere Meier. Ma sì, adesso condoniamo anche lui...»
Dal 1995 a oggi la storia dell'Ara Pacis è stata lastricata di problemi e di discussioni. Sui tempi: nel '96 Meier promise l'inaugurazione per la fine del 1999 in vista del 2000, invece si slittò fino a metà 2006 tra un rinvio e una perizia di variante sul cantiere. Sui costi: nel febbraio 2007 la procura regionale della Corte dei Conti aprì un'inchiesta per il raddoppio dei costi (dai 7 milioni di euro preventivati ai 14 finali) ma, come assicura l'ex assessore all'Urbanistica Roberto Morassut, tutte le procedure tecniche e amministrative «poche settimane fa sono state giudicate corrette».
Poi le polemiche. E che polemiche. Federico Zeri odiava l'intervento, contestando a Richard Meier di conoscere la Roma antica «quanto io conosco il Tibet». Paolo Portoghesi non usò giri di parole: «Un ecomostro, peggio di Punta Perotti». Alberto Arbasino tagliò corto: «La vecchia "teca" dell'Ara Pacis probabilmente si poteva riparare risparmiando, e pulendo di più i vetri». Il riferimento era alla «scatola» di Vittorio Ballio Morpurgo del 1939, considerata da non pochi architetti e urbanisti un perfetto esempio del razionalismo italiano.
Il New York Times approdò a Roma durante il taglio del nastro e stroncò il contenitore di Meier: «Un autentico flop, l'espressione contemporanea di ciò che può accadere quando un architetto feticizza il suo stile per autoesaltarsi, un'opera assurdamente sproporzionata, indifferente alla nuda bellezza del tessuto denso e ricco della città che le sta intorno».
Giorgio Muratore, docente di Storia dell'arte e dell'architettura contemporanea a «La Sapienza»: «Anziché sostituire una teca si aggiungono un auditorium, un ristorante, un museo, un sottopasso con affaccio sul Tevere». Francesco Rutelli rimase convinto della sua scelta: «Un'opera bellissima». Ma furono in molti a rinfacciargli il suo desiderio di lasciare, quasi a tutti i costi, una propria traccia urbanistica legata alla sua carica di sindaco. Probabilmente lì affondano le vere radici della decisione di Gianni Alemanno. Walter Veltroni, da ministro per i Beni culturali e poi da sindaco di Roma, ammise «gli inevitabili conflitti e conservatorismi italiani che però si dissolvono a favore di un riconoscimento della bellezza dell'opera».
Alemanno, durante la campagna elettorale, assicurò anche altri interventi sull'area antica della città: «Mi impegno a rimuovere la vergogna dei tubi innocenti sul Colosseo, uno dei monumenti più belli del mondo». E ancora: «Via i cordoli che delimitano le corsie preferenziali. Nasceranno commissioni di valutazione per la realizzazione del parcheggio del Pincio e per la rimozione dei sampietrini in via Nazionale». Ecco un'altra notizia: l'Ara Pacis è solo la prima tappa di un itinerario che potrebbe portare al blocco del mega-parking progettato nelle viscere del Pincio, difeso a spada tratta da Walter Veltroni...
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