lunedì 30 marzo 2009

Ara Pacis Così la scultura prende una forma molto «musicale»

Ara Pacis Così la scultura prende una forma molto «musicale»
di Pietro Acquafredda
IL GIORNALE n. 76 del 2009-03-29 pagina 8

Nel Museo dell’Ara Pacis arriva «Musica in forma», installazione sonora creata dal compositore Michelangelo Lupone e dall’artista visiva Licia Galizia, in vista dell’inaugurazione di martedì 31 marzo, alle 17. Musica in forma - per la cui realizzazione si sono coalizzati università (Ateneo dell’Aquila), centri di ricerche (Crm di Roma), istituti musicali (Conservatorio dell’Aquila) ed istituzioni pubbliche (Comune di Roma, Sovrintendenza ai Beni culturali) - comprende tre opere plastiche: Trio plastico, In coro e Studio III su Volumi adattivi; e i materiali di cui sono fatte queste grandi sculture «sonanti» (metalli, legno, carta, vetro e derivati di questi), sono in grado di interagire musicalmente tra loro e con il pubblico, e di adattarsi alle condizioni ambientali: luce, movimento, suoni circostanti, sotto lo stimolo di appositi sensori. Questa grande novità tecnologica, sviluppata dal Crm (Centro Ricerche Musicali) di Roma, permette di sfruttare musicalmente e plasticamente le caratteristiche vibrazionali dei materiali naturali e sintetici, ed è conosciuta con il termine Planofoni. La concezione innovativa delle opere sta nella completa integrazione della musica alla forma plastica; e la partitura musicale si basa su timbri ed altezze generati dalle forme messe in vibrazione o fatte risuonare con appositi dispositivi elettronici. La mostra resterà aperta fino al 5 aprile. Info: 064464161. Biglietto : 6,50 euro; 4,50 ( ridotto).

lunedì 23 marzo 2009

La piazza aspetta il restyling e la pioggia cola sull'Ara Pacis

La piazza aspetta il restyling e la pioggia cola sull'Ara Pacis
Carlotta Mismetti Capua
E Polis Roma 23/03/2009

Questa architettura razionalista a furia di togliere tutto ha tolto anche i tetti agli edifici. i tetti, secondo i canoni contemporanei, non saranno razionalisti per almeno sono razionali: sarebbero stati inventati per la pioggia. Ma quando sei una star chisse-ne-frega della pioggia , motivo per cui Richard Meier il museo dell'Ara Pacis lo ha fatto senza tetto (figuriamoci pensare una grondaia). Così ora quando piove l'acqua cola. E la pioggia ha rigato di nero e di grigio il bianco sparato dell'intonaco. DALLA SOVRINTENDENZA non fanno che mandare gli imbianchini, tanto che ora ci sono almeno tre mani di bianchi diversi, una è quasi avorio. Inoltre sulla terrazza mancano le panche, per sedersi. Anche sedersi, si vede non è tanto razionalista. Per adesso tutto si aggiusta: finalmente è stato approvato dalla giunta capitolina il progetto per la sistemazione della piazza, il cui cuore sarebbe il Mausoleo di Augusto; che qui sono tredici anni che si parla solo di Richard Maier che ci siamo dimenticati il mausoleo di Augusto, e pure le panche. I fondi ci sono, quindici milioni di euro, e il concorso vinto dagli architetti italiani F'rancesco Cellini e Mario Manieri Elia, è ai primi scavi. Va via il capolinea dei bus, ripianteranno gli alberi, nuove le luci, il sottopasso per rendere pedo nale il Lungotevere, e vedere un po' di acqua, una serie di passerelle sopra i mosaici ritrovati e l'ingresso del Mausoleo, dove stava poi collocata l'Ara. «Cellini e Mario Manieri Elia hanno trovato un modo per creare un'armonia in questa piazza disgraziata» dice l'architetto Orazio Camperzano, ordinario all'università la Sapienza che ci accompagna in questa passeggiata impossibile. È vero che prima che aprissero il ristorante Gusto i romani qui non ci venivano mai. «Ed è incredibile, perché siamo a due passi da piazza del Popolo. Ma questo luogo è difficile, sono secoli che a Roma lo si guarda in cagnesco», racconta Camperzano. «Dal Cinquecento in poi ha avuto le destinazioni pi improbabili: prima una cava, poi una fonderia, poi un teatro, ci facevano perfino le riffe dandestine, e i romani lo consideravano un luogo di meretrici e fantasmi. È stato il luogo del martirio di Cola di Rienzo, non dimentichiamolo. Anche quando Augusto lo scelse come mausoleo questo luogo erafuori dal centro direzionale della città, che erano i Fori. Ed è sempre rimasto problematico. Basti pensare che la statua dell'imperatore venne fusa per farne moneta, e che i due obelischi che ornavano il mausoleo vennero trapiantati uno al Quirinale e uno a piazza Santa Maria Maggiore» spiega Camperzano, mentre si gira intorno al cantiere. ORA IL PROGETTO di Cellini e Manieri Elia lavora tutto nel sottosuolo, scava, crea passerelle, cerca di connettere il Lungotevere al pavimento di un mosaico ritrovato, che sta venti metri pi sotto. Per ora gli artisti della domenica vengono a dipingere quel che si intravede dell'ingresso della tomba del pi grande imperatore di Roma, da dietro le staccionate del cantiere. Quel poco che si vede, perché il resto è tutto coperto da cipressi altissimi. «Li toglieranno, per forza - spiega l'architetto - altrimenti non si vede niente. Ma questa è una missione impossibile, non sarà mai una vera piazza».

martedì 17 marzo 2009

L'Ara Pacis "invisibile": mosaici, terrazze e un museo

L'Ara Pacis "invisibile": mosaici, terrazze e un museo
CLAUDIO MARINCOLA
Messaggero Cronaca di Roma, 16-SET-2006

Operai che svitano tubi, camion che portano via impalcature, tecnici alle prese con i collaudi, falegnami che inchiodano pannelli: Ara Pacis, ultimo atto, ritocchi finali. Poltrone Frauda installare nell'auditorium da 200 posti, prese da collaudare, infissi da fissare. Il restauro dell'altare marmoreo avviene in diretta sotto gli oc-chi dei visitatori, in media settecento al giorno, con punte di mille la domenica. Venerdì prossimo verrà sistemata la fontana esterna, una memoria del Porto di Ripetta. Entro la fine del mese il cantiere verrà smobilitato. E solo allora il complesso di Richard Meier, che pure è già stato vivisezionato dai critici, potrà dirsi interamente fruibile, anche nella parte interna, che resta chiusa al pubblico.
Nel frattempo sembra risolto anche il problema della colonna, una copia, posta all'ingresso, in cima alla scalinata che conduce all'Ara. Quella originale misurava la stessa distanza che in età augustea la separava dall'obelisco della grande Meridiana. Quella nuova verrà prelevata dal Porto di Traiano dove giace nella melma del sottofondo accanto ad antichi frammenti e capitelli. Le sale chiuse e non ancora inaugurate ora hanno una loro fisionomia. Verranno presentate alla stampa il prossimo 23 settembre. E ci sarà chi ha seguito passo passo i lavori, l'assessore all'Urbanistica Roberto Morassut, l'assessore alla Cultura Gianni Borgna, il direttore dell'Ufficio Città storica, architetto Gennaro Farina e il sovrintendente romano ai Beni culturali Eugenio La Rocca. Si tratta di spazi aperti, illuminati da grandi lastre di vetro temperato. Terrazzi, corridoi, lucernai.
Gli operai hanno quasi terminato il montaggio del grande mosaico realizzato dall'artista campano Mimmo Palatino. Alto sei metri e largo sette, Meier lo ha pensato ancora prima di realizzare il suo gigantesco involucro. «Si inserisce in un ambiente attraversato da luci e da piani sfalsati. Raffigura segni e forme che rimandano ad un mondo arcaico», spiega l'autore.
Uno spazio panoramico è la terrazza con affaccio sul mausoleo posta dinanzi al bar. Il lucernaio che ha la forma di un gigantesco comignolo fa pensare alla tolda di una nave. Il grande Rex di Federico Fellini, oppure un mostro obeso di Herzog sbarcato nel centro storico della città. E se l'esterno dell'Ara è apparso a molti so-vradimensionato, una nota stonata rispetto al contesto Augusteo, non così si può dire degli spazi interni.
Nel seminterrato sfruttando il dislivello sono stati ricavati 800 metri quadri. Costeggiano per un tratto il muro delle Res Gestae e sfruttano la luce che filtra dalle vetrate. Qui verranno collocati il museo -cori i frammenti che non furono esposti nel 19 3 8 - e la biblioteca multimediale. In altre due sale già completate potranno essere ospitate mostre temporanee.

Ara Pacis, la scoperta della piazza

Ara Pacis, la scoperta della piazza
Fabrizio Ciaccia
24 SET 2006, CORRIERE DELLA SERA cronaca Roma

Chi la voleva abbattere per farci un parcheggio, chi voleva portarla in periferia. E invece l'Ara-Pacis-work-in-progress firmata dall'architetto americano Richard Meier (prima apertura nel settembre 2005, inaugurazione tra le polemiche il 21 aprile 2006) procede testarda verso la perfezione. Intorno a lei, ieri, addirittura è nata una piazza. Bianchissima, sfolgorante, con una fontana d'acqua fresca e zampillante, un museo storico, un auditorium multimediale e un grande mosaico di Mimmo Paladino. Un regalo speciale, la piazza, per il compleanno («dies natalis») dell'imperatore romano Ottaviano Augusto, venuto al mondo giusto il 23 settembre del 63 avanti Cristo. Fu lui a far costruire l'Ara Pacis dopo il ritorno dalle campagne vittoriose in Spagna e in Gallia meridionale. In fondo, è sempre stato così: «Si vis pacem para bellum». Lo disse Vegezio oppure George Bush?
Il più felici, ieri mattina, erano sicuramente Walter Veltroni e Richard Meier: il sindaco di Roma e l'architetto di Newark si sono abbracciati più volte davanti a tutti. In questi mesi avevano dovuto subire gli strepiti di Sgarbi e della destra. Attacchi feroci. Battute velenose. Ma la scommessa, adesso si può dire, davanti a decine di ragazzi che succhiano il gelato, appollaiati sui muretti della fontana zampillante, è vinta: «Era una vecchia scatola impraticabile, ora tutto ha ritrovato un equilibrio. L'Ara Pacis è oggi un luogo dove la relazione con il monumento è quasi fisica», dice il sindaco.
«La realtà - aggiunge Meier godendosi il panorama dalla superba terrazza affacciata su piazza Augusto Imperatore - è sempre migliore di qualunque progetto. Tuttavia, ora che abbiamo quasi completato il lavoro, invito tutti, anche quelli che ci criticavano, a venire a vedere e a dirci schiettamente cosa ne pensano».
Veltroni è raggiante e adesso smania per mettere mano
all'ultima fase: la pedonalizzazione del lungotevere davanti all'Ara Pacis. Allora, davvero, questo luogo affascinante sarà completamente restituito alla città. «Siamo in dirittura d'arrivo - annuncia - Sta per partire il bando di gara per fare il sottopasso». E con il parcheggio del Pincio, lo promette anche allo scrittore e giornalista Mario Pirani, presente all'inaugurazione, in due anni tutte le auto andranno via dal «tridente» e il Centro diverrà un'unica, immensa passeggiata. «Mi auguro che lunedì (domani, ndr) il consiglio comunale approvi la relativa delibera - taglia corto il sindaco - Sarebbe il primo passo».
Fuori, intanto, sulla nuova piazza, comitive di turisti sfilano divertite: «É incredibile il numero di visitatori da quando l'Ara Pacis ha riaperto. Un flusso ininterrotto - sospira sollevato Veltroni - E pensare che c'era chi voleva distruggere tutto...Mah, che dire?, per avere a che fare con gli sventurati bisogna portare pazienza».
E non è finita. Perché l'Ara Pacis, raccontata ieri nell’Auditorium nuovo di zecca a un pubblico attento dal docente di Storia romana Andrea Giardina e dal sovrintendente comunale ai Beni archeologici Eugenio La Rocca, diven-terà presto anche un luogo alto della politica. Pochi giorni fa, in Campidoglio, il primo cittadino aveva invitato i rappresentanti delle diverse fedi religiose per rinnovare l'impegno di pace e solidarietà tra i popoli, dopo il putiferio internazionale scatenato dal discorso di papa Ratzinger a Ratisbona. Il sindaco adesso rilancia: «Abbiamo già pensato di organizzare qui altre occasioni di dialogo, perché l'Ara Pacis è un simbolo che si presta perfettamente».
Eppure la Pace dei Romani era una Dea terribile e sull'altare chiedeva sacrifici. La Pace dei Romani era lo statu quo. Era l'impero. «Crearono desolazione e la chiamarono pace», così racconta Tacito della guerra in Britannia. Parole da brividi. Ora, però, ciò che importa davvero è che l'Ara Pacis 2006, l'altare del terzo millennio, sarà un'altra cosa. E così anche Roma: «Una città viva - conclude Veltroni - che trasforma un monumento come era questo, separato dalla città, in un luogo attraversato dal calore degli esseri umani e dalla cultura del bello. Perché il bello c'è sempre: ieri, oggi e domani. E Roma cammina tra la storia e il futuro».
Fabrizio Caccia

L'Ara Pacis? Celebra solo la vanità di Meier

L'Ara Pacis? Celebra solo la vanità di Meier
Paolo Mastrolilli
La Stampa, 26/9/2006

Nella sua relazione con le glorie della città, l'edificio è senza senso, come i suoi predecessori fascisti». Peggio di così, secondo il New York Times, non poteva andare: il nuovo Museo dell'Ara Pacis, costruito a Roma dall'architetto americano Richard Meier, è perfettamente in linea con le porcherie volute da Mussolini a Piazza Augusto Imperatore. Anzi, fatta eccezione per alcuni dettagli pregevoli, riesce persino a batterle in negativo. Stavolta, però, la colpa non è dei politici romani, ma della vanità senza freni dell'architetto.
Secondo Nicolai Ouroussoff, che ha stilato l'attenta pagella del Times, l'Ara Pacis non vale il prezzo del biglietto. L'altare in sé merita, ma il guscio che Meier gli ha costruito intorno è una specie di insulto alla Città Eterna. «Assurdamente fuori scala, sembra indifferente alla nuda bellezza del tessuto urbano denso e ricco intorno ad esso».
I torti di Meier sono quasi infiniti, e cominciano dall'esterno. Per ancorare il nuovo museo alla città, l'architetto ha costruito un muro che taglia a metà e umilia le facciate delle chiese di San Rocco e San Girolamo dei Croati. La struttura poi è troppo pesante, e compete con l'altare fino al punto di far quasi dimenticare la ragione della sua esistenza. Le parti migliori sono gli interni, come ad esempio «l'approccio ben calibrato all'Ara Pacis». Il New York Times, però, non capisce a cosa serva un auditorium da 150 posti in un museo che contiene una sola opera d'arte, e se la prende persino con l'ingresso troppo formale o il negozio dei libri.
La parte più crudele della critica, però, è quella che equipara il lavoro di Meier ai progetti di Vittorio Balli o Morpurgo, l'architetto incaricato da Mussolini di sistemare Piazza Augusto Imperatore. Morpurgo, secondo il Times, fece un autentico disastro, per accontentare il dittatore che voleva assimilare il suo regime alle glorie della Roma imperiale. Fra le altre cose, aveva raso al suolo le vecchie case intorno al monumento centrale, che invece servivano a garantire l'effetto più peculiare e spettacolare della Città Eterna, quando arrivando da qualche vicoletto si sbuca in una piazza ariosa e inattesa. Meier non ha voluto replicare la retorica fascista, però l'ha sostituita con la propria: «La mancanza di sensibilità rinforza cliché secondo cui tutta l'architettura contemporanea è un'espressione dell'ego dell'architetto. Questo edificio è destinato a dare munizioni ai conservatori, convinti che nella Città Eterna non c'è spazio per opere nuove e coraggiose. Il museo - conclude la recensione - ci ricorda che la vanità non è esclusiva dei generali o dei politici. Forse passerà un'altro mezzo secolo, prima che Roma si avvii di nuovo su questa strada».

Ara Pacis, nuova bocciatura a mezzo stampa

Ara Pacis, nuova bocciatura a mezzo stampa
01/10/2006, Il Giornale, Cronaca di Roma

DOPO LA STRONCATURA DEL «NEW YORK TIMES»

La rivista internazionale «AD» critica Meier: «Un architetto deve saper abbassare la voce»
Dopo la stroncatura del New York Times, nuovi «guai» a mezzo stampa si abbattono sulla teca dell'Ara Pacis. A gettare ombre sull'opera di Richard Meier è AD, prestigiosa rivista internazionale di architettura, che in un pungente articolo a firma di Cesare de Seta rimprovera al progettista americano di non aver «rinunciato alla sua griffe» al momento di misurarsi con «un'area del centro storico di Roma tra le più dense e ricche di memoria». Un «sito delicatissimo», quello di piazza Augusto Imperatore, nel quale Meier - osserva l'urbanista - «non è andato con la mano leggera».
Dopo aver menzionato le qualità dell'opera come «macchina museale», in grado di preservare l'altare da impatti esterni e garantirne un'efficace illuminazione, de Seta avanza i suoi incisivi distinguo parlando di un «assai meno felice involucro esterno». Rievoca le dure critiche di Vittorio Sgarbi, che ebbe a definire la teca «un cesso orrendo realizzato da un architetto incapace», e chiosa: «Che sia incapace Meier è solo una boutade, perché Meier tutto è fuorché un incapace: piuttosto gli rimprovero di non aver rinunciato alla sua griffe. Un grande architetto - si legge in chiusura dell'articolo - non è uno stilista, deve saper abbassare la voce: Meier non ha avuto il coraggio di farlo ed è una debolezza non da poco. Quando sarà definitivamente conclusa la sistemazione dell'area si potranno vedere delle migliorie, ma l'impatto traumatico con il contesto rimarrà. Eccome!».
«Questo dimostra che quando vengono meno i condizionamenti culturali la teca dell'Ara Pacis viene giudicata per quel che è - commenta Federico Mollicone, capogruppo di An in centro storico -. Per aver avanzato critiche siamo stati bersaglio di ogni genere di insulto. Ora si scopre che anche il New York Times e AD dicono le stesse cose: saranno definiti "sciagurati" anche loro?».

Ara Pacis: la fontana non spegne le critiche

Ara Pacis: la fontana non spegne le critiche
Giuseppe Pullara
Corriere della Sera, Roma, 12/10/2006

L'edificio che avvolge l'Ara Pacis è finalmente completato.
Visitatori e gente che sosta intorno alla fontana sembrano
indicare il gradimento della città per l'opera di Richard
Meier. Ma gli architetti esprimono giudizi contraddittori, in certi casi vere e proprie stroncature.
Paolo Portoghesi si dichiara «amico di Meier» ma sostiene di non trovare nell'opera sul Lungotevere «la sua genialità». «L'edificio, ora sgombro del cantiere, resta quattro volte fuori scala, è sproporzionato. Separando definitivamente la piazza dal fiume, getta il vicino mausoleo di Augusto sempre più in basso, come in fondo a un pozzo. La fontana poi - continua spietato Portoghesi - è ridicola se pensiamo alle gloriose fontane di Roma. Aspettavo di valutare il lavoro finito per rivedere l'impressione negativa avuta prima, ma non c'è niente da fare: quest'intervento architettonico resta una ferita nel centro storico, che era uscito indenne dall'assedio speculativo degli anni Sessanta». Lo storico dell'arte, progettista tra l'altro della Grande Moschea romana, conclude con un augurio: «Speriamo che questa faccenda serva da lezione per i romani, inducendoli - è un pensiero affettuoso per l'amico Richard - a non sacrificare in futuro la parte più preziosa della città a certe velleità creative».
Giudicato da Peter Eisenman «il più interessante architetto italiano», Franco Purini esprime una valutazione binaria: «La dimensione dell'edificio è eccessiva e le tre parti non sono organicamente connesse. Così pure non c'è un sufficiente accordo tra edificio e fronte stradale sul lato delle due chiese». Ma «trovo ben riuscito il sistema delle gradinate e della fontana dove Meier mi pare sia riuscito a captare un sentimento romano. L'edificio nel suo complesso sta entrando lentamente nel paesaggio urbano e in questa osmosi sarà aiutato dalla futura sistemazione della piazza, per cui è in attuazione un concorso». L'ottuagenario ma pimpantissimo Carlo Aymonino sta già preparando un suo solitario Capodanno a Dacca, per visitare la città di Louis Kahn. Si fa una risata: «L'Ara Pacis doveva restare dove fu trovata, a piazza S. Lorenzo in Lucina. Oggi il suo destino è terrificante, finita com'è in uno di quei "bus stop" che abbiamo visto nel film con Marilyn Monroe. Quest'opera non c'entra niente con Roma ed è troppo grande. La fontana e la scalinata sono solo - sentenzia l'autore del Gallaratese - artifici per aggiungere una qualche aura all'edificio. La chiesa di Meier a Tor Tre Teste, invece, quella sì che è bella».
Giorgio Ciucci, storico dell'architettura, concede elogi e critiche con parsimonia. «L'interno dell'edificio è piuttosto efficace, ha una bella luce fornita dalle ampie vetrate, n progettista ha ritrovato il livello con il Lungotevere attraverso una scalinata non brutta». E la fontana? «No, non va: risulta troppo "povera" rispetto sia all'antistante chiesa di fine Cinquecento di Martino Longhi e alle famose fontane di Roma». Secondo Ciucci «l'edificio di Meier non fa che esprimere il nostro tempo, così come le altre architetture della piazza e dell'intera città testimoniano le varie epoche. Roma è piena di contraddizioni e di linguaggi architettonici». Paolo Desideri, progettista della nuova stazione Tiburtina, vota a favore: «Se l'architettura italiana si esprimesse a tali livelli sarebbe risolto ogni problema. Il risultato finale dimostra bene il senso dell'operazione architettonica. Il fatto è che da 40 anni ci siamo disabituati alla legittimità dell'architettura contemporanea. La fontana è molto bella, e la caduta dell'acqua attenua il rumore del traffico».
L'ex sovrintendente archeologico Adriano La Regina gradisce l'insieme dell'opera, soprattutto la sua fruibilità interna. «I problemi, semmai, si aprono nel rapporto col contesto: sarebbe stato meglio procedere col rinnovo della piazza contemporaneamente all'edificazione del museo». Ma un problema c'è: «Quel bianco squillante delle superfici esterne è inedito per Roma, è difficile da accettare. Dove c'è il travertino va meglio». Giorgio Muratore, storico del contemporaneo, è al solito caustico: «A fine Opera sono confermati i difetti: è fuori scala, i materiali sono sbagliati, il progetto è volgare. Bernini può dormire tranquillo, se questi sono gli architetti d'oggi. Meier è un progettista finito, fu straordinario - decreta l'architetto Muratore - fino a 20 anni fa, negli Usa. In Europa non ne azzeccata una. Tutto sommato sarebbe meglio traslocare altrove l'Ara e usare l'edificio come sede per le pubbliche relazioni del Campidoglio».
Per finire, Vittorio Sgarbi, che bruciò davanti al cantiere il modellino in cartone del progetto di Meier: «Non salvo nulla di questo intervento: è una ferita urbana senza rimedio. L'opera è sovradimensionata, invasiva, compromette il rapporto tra piazza e Tevere. Del resto - ricorda con piacere l'assessore alla Cultura di Milano - è stato il New York Times a stroncarla: non basta?».