lunedì 17 agosto 2009

Ecco l’Ara Pacis. È pronta a rinascere

Ecco l’Ara Pacis. È pronta a rinascere
CLAUDIO MARINCOLA
Il Messaggero, 24 marzo 2006

Tolta dagli imballaggi dopo sette anni. Da ieri è cominciato il complesso restauro

È stato come 70 anni fa, quando una mirata campagna di scavi trovò l’Ara Pacis otto metri sotto l’attuale livello stradale. Come allora i restauratori con grande cautela hanno svelato rilievi, fregi, decori, ghirlande, capitelli corinzi, palmette, piccole sculture.
Sono rimasti così, imballati in un involucro buio, dal giorno in cui si decise la demolizione del Padiglione che Morpurgo progettò in tutta fretta per celebrare l’Imperatore Augusto e il fascismo. E da quel giorno sono passati sette anni. Per l’Altare sacro quello di ieri è stato il primo fascio di luce. Una seconda nascita. Che poi vorrebbe dire una terza, una quarta, una quinta, visto che i “pezzi” furono ritrovati e acquistati poco alla volta dai Medici già nel Cinquecento e altri ritrovamenti e ricongiunzioni potrebbero ancora esserci. Chissà.
Il monumento ha attraversato due millenni ed è appena entrato nel terzo. Ma non è stato ancora interamente ricomposto. Frammenti in originale o in copia sono custoditi nei magazzini della Sovrintenza comunale ma anche a Villa Medici e al Louvre.
La data della rinascita però è già fissata. Il 21 aprile, tra meno di un mese verrà inaugurato il nuovo Museo firmato dall’architetto americano Richard Meier.
A vedere le condizioni in cui versa ora l’Ara, con i segmenti spezzati, le pareti scrostate, i gessi spaccati, i marmi stressati, verrebbe da dire che la vecchia Teca esposta com’era al traffico, e quindi a calore, freddo e inquinamento, era realemente inadeguata. E che la soluzione trovata da Meier le farà bene. Ma la questione è troppo querelleuse per riaccenderla a scoppio ritardato.
L’idea dell’architetto è creare un gioco di trasparenze, luci e ombre con al centro l’Ara Pacis. Una mise in abyme , un racconto nel racconto. È difficile dire ora, con il cantiere più che aperto che mai e in funzione 24 ore su 24, se l’effetto sperato verrà raggiunto. Certo è che dopo essere saliti per la prima volta al piano superiore, il roof garden, quel recinto di marmo crea suggestioni, ha le sembianze di un cofanetto di gioie.
Gli esperti di Zètema si sono messi al lavoro. Non potevano farlo prima perché la polvere e tutto il resto non offriva condizioni adatte ad un restauro così delicato. Un’opera di cesello che farà riaffiorare poco alla volta le scene scolpite sui quattro lati. Allegorie, rievocazioni, il rito della fondazione, la famiglia imperiale, Augusto col capo velato, più alcune integrazioni pittoriche a completamento dei graffiti e festoni di foglia e frutta.
L’altare è al centro, sollevato su tre gradini. «Con il nuovo impianto climatico - sostengono i tecnici - riusciremo ad avere in questo punto una temperatura costante di 22 gradi sia d’estate che d’inverno e una umidità controllata, senza più escursioni termiche violente».
I lavori di consolidamento dell’Ara Sacra hanno dimostrato ciò che si temeva: il monumento è stato fissato utilizzando strutture di cemento. Spostarlo, dunque, come pure qualcuno aveva suggerito, non sarebbe stato possibile. Si sarebbe sgretolato.
Meier alla fine del mese sarà a Roma per fare il punto della situazione. Ma tutto lascia pensare che i tempi verranno rispettati. I lavori vengono costantemente seguiti dall’architetto Gennaro Farina, direttore dell’Ufficio città storica. Senza i ponteggi è più chiara la prospettiva, lo spazio, il segno, la luce che sono i temi preferiti di Meier. E già s’inizia a cogliere - meglio dire percepire - quel “senso di Campo Marzio”, di attesa e di incontro di cui parla l’architetto americano. I giochi di luce, i riverberi ma anche la protezione dall’eccesso di decibel. La promessa che al di là delle grandi vetrate il traffico scorrerà muto o quasi.
Meier come ogni archi-star ha dimostrato un’attenzione maniacale per i particolari. Ha preteso lastre di travertino della stessa storica cava di Tivoli e si è lamentato perché erano poche quelle con impresso il segno dei fossili (una lisca di pesce).
Il progetto strada facendo ha subito varie modifiche. Quattro varianti, uno stop di un anno, indagini geologiche e archeologiche a ripetizione. Più un’indagine della Corte dei conti che si è conclusa con una sentenza di assoluzione.
Alcune modifiche sono state dettate delle critiche, altre da causa tecniche. Dove prima si pensava fosse necessario scavare per le fondazioni sono stati ricavati locali per 800 metri quadri destinati ad uffici. Sono stati ampliati gli spazi commerciali e quelli espositivi. Nel grande atrio verrà allestita una mostra introduttiva con una serie di pannelli didattici e con i frammenti dell’Ara mai esposti prima. I lavori per l’Auditorium (comprese le 150 poltrone Frau) non hanno comportato aumenti di spesa. Il che non guasta. Si pensa inoltre di recuperare e rendere visibili alcuni resti dell’antico Porto di Ripetta.
Il nuovo complesso museale conterrà una biblioteca multimediale e un bar. Ma c’è anche chi pensa di realizzare sulla sommità dell’edificio un’altra terrazza panoramica collegata al roof garden da una scala elicoidale e protetta da una balaustra in acciaio inox tubolare. Dall’alto apparirà ancora più urgente l’intervento per riqualificare il Mausoleo di Augusto, oggetto per anni e anni di un lungo abbandono.
Il problema verrà affrontato dopo il 21 aprile con una operazione urbanistica ad hoc: un bando internazionale per immergere il quadrante in una nuova scenografia più aggregante di quella attuale. Un problema non risolto rimane invece quello della colonna posta alla sommità della scalinata iniziale, quasi una hall. Si pensava ad una colonna romana di grandi dimensioni che però non si è ancora trovata. In attesa di qualche nuova scoperta verrà montato un fuso in cemento.

C'era una volta l'Ara. Ora l'altare di Augusto sembra un terminal

C'era una volta l'Ara. Ora l'altare di Augusto sembra un terminal
LV.
Secolo d'Italia, 16 aprile 2006

Per "celebrare" i suoi 2579 anni Roma si fa un regalo da 13 milioni di euro. Dopo 12 anni di lavori, il 21 aprile riapre l'Ara Pacis, il più antico e famoso altare della capitale, voluto da Augusto nel 9 avanti Cristo e contenuto nella modernissima teca di vetro e travertino disegnata dall'architetto americano, Richard Meier. Ma alla vigilia dell'apertura fioccano le polemiche.
Sulla questione l'agenzia di stampa "il Velino" ha tracciato una impietosa analisi. «Per quelli del Tridente -scrive il Velino -il capolavoro urbanistico, quello sì, che fa convergere in Piazza del Popolo via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, dal 1994 - l'anno della "pensata" dell'allora sindaco Rutelli - il cantiere dei lavori di Meier & Partners in piazza Augusto Imperatore, è stato meta e fonte di divertimento infinito. Intorno alla recinzione orribilmente lamierata, è stato per anni un fiorire di ta tse bao, graffiti, tutti indelebilmente insolentì nei confronti del progetto. Spesso firmati da architetti stranieri a Roma in veste di turisti, qualcuno plebeamente arricchito di minacce di morte ai deturpatori, alcuni vere pasquinate degne di Roma». «Gli "operatori ecologici" dell'Ama - commenta l'articolista - ì monnezzari come si dice a Roma, non facevano in tempo a rimuovere graffiti che mille altri ne fiorivano. E, a un certo punto, l'unico modo per impedire ai passanti di imbrattare i grandi manifesti che illustravano il progetto, fu di rimuoverli tout court e lasciare ignude le recinzioni in lamiera. Ma i graffiti fioccavano lo stesso. Uno dei commenti più frequenti, in ogni idioma del mondo, era: "Che e... ci fa questo terminal d'aeroporto a fianco alle chiese barocche di san Rocco e san Girolamo dei Croati? ". Bella domanda: si trovano a meno di cinquanta metri dalla nuova Ara Pacis». Impietosamente il Velino ricorda che «i turisti si fermavano appoggiati al parapetto del Lungotevere di Ripetta per ammirare con un solo colpo d'occhio la vecchia Ara Pacis, sì, il cubo di cemento che ospitava al suo interno il mirabile monumento, e le due chiese affiancate,
come gemelle siamesi. Beh, non si potrà più farlo, la vista impedita dal nuovo miracolo architettonico». Secondo l'agenzia, «caso mai è più preoccupante il fatto che si siano voluti dodici anni per arrivare a finire questo edificio che nell'ottica della "visione ye ye" secondo cui bisognava dare a Roma grande architettura moderna, si scelse, per fare "i fichi", di installare in una piazza tanto particolare. Tanto travagliata dalla storia».
L'articolista ricorda a quanti non conoscono Roma che «da un lato della piazza l'altro lato non si vede, dovunque uno si sistemi: in mezzo infatti sorge una sorta di collina, l'Augusteo, all'interno del quale - a leggere le targhe in marmo - sono sepolti tutti: alcuni imperatori, compreso Caligola, Nerone, qualche Giulia, perfino Poppea, una sorta di sacrario alla famiglia imperiale allargata».
Ma le note dolenti non finiscono qui: «Apprezzato vespasiano di tutti i cani del centro storico, circondato di ameni giardinetti (vera discarica urbana ospita anche materassi abbandonati e qualche volta si incontra un vecchio frigo che piange sommessamente in un angolo, il tutto a cento metri dal locale comando pretorio dell'Arma in Passeggiata di Ripetta) il monumento è diretto dirimpettaio dell'Ara Pacis. Alla sinistra della quale, all'inizio di via Ripetta, sorge l'ottocentesco ferro di Cavallo, con tanto di Accademia di Belle Arti e Liceo artistico: umbertino e Meier fianco a fianco. Per i tre lati restanti della piazza, oltre le due splendide chiese barocche nascoste in un angolino, a destra dell'Ara Pacis, un tripudio di neoclassico fascista, tutto un inneggiare (con vistose scritte e mosaici di virili seminatori) all'aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende. Tutto un porticato di marmorea romanità - conclude il Velino - che la notte è pietoso e prezioso usbergo di tutti i barboni del Tridente. Il terminal aeroportuale con vetri fumé di Richard Meier ci starà da Dio».

Ara Pacis, ancora un'inaugurazione La teca di Meier non piace a nessuno

Ara Pacis, ancora un'inaugurazione La teca di Meier non piace a nessuno
Marcello Viaggio
Il Giornale – Cronaca Roma, 19-APR-2006

Marsilio (An): «Record di soldi spesi e lavori durati sette anni dopo un affidamento senza concorso». I residenti: «Piazza Augusto Imperatore nel degrado»

Veltroni inaugura la «pompa di benzina», Roma perde l'Ara Pacis. Per il Compleanno della capitale, venerdì 21 aprile, il sindaco torna ad accendere su di sé i riflettori con l'inaugurazione pre-elettorale della teca di Richard Meier. E da An si alzano bordate di polemiche: «È un’opera profondamente sbagliata - accusa il consigliere Marco Marsilio che per otto anni si è battuto contro il progetto - Meier ha ignorato sia piazza Augusto Imperatore sia il contesto del centro storico. Rutelli si è permesso nel '96 il lusso dell'affidamento diretto, mentre avrebbe dovuto fare, come tutti i sindaci, un concorso internazionale di architettura. Non c'è stata invece alcuna possibilità di scelta, in qualunque altra città del mondo per molto meno un sindaco sarebbe stato contestato a furor di popolo. Non siamo più ai tempi in cui il Principe sceglieva l'artista di corte».
L'Ara Pacis, l'altare eretto nel 9 a.C. per celebrare le gesta dell'imperatore Augusto, per secoli ha caratterizzato l'area urbana tra il Tevere e il Mausoleo di Augusto. Ora lo scatolone ultramoderno di Meier spezzerà per sempre il passaggio fra il fiume e la città. La nuova teca di vetro e travertino «festeggerà», in chiave elettorale, i 2.579 anni della Capitale e la conclusione dei cinque di Veltroni. Peccato che il Mausoleo di Augusto sia ridotto a una latrina per cani, i colonnati siano regno di barboni, tutto attorno si respiri aria di abbandono. Veltroni, avverte Marsilio, annuncerà venerdì finalmente il concorso internazionale per piazza Augusto Imperatore : «Meglio di niente. Ma chiunque vincerà, si troverà di fronte la teca di Meier su un lato della piazza, gli equilibri sono ormai compromessi. Si rischia di ripetere anche sugli altri tre lati l'impostazione modernista dell'architetto americano, che non ha niente a che vedere con il centro storico». Niente da dire. Nel cuore della Città Etema, la teca fa l'effetto di Cape Kennedy. Ma non è ancora finita. Mancano la fontana esterna, di cui si intravede la base, e l'arredo dell'Auditorium. Al posto dell'obelisco di travertino, che secondo il progetto va collocato davanti alla scalinata d'ingresso, si è ricorsi per ora a un prefabbricato in.cemento bianco. Ma tant'è. Veltroni taglierà ugualmente il nastro. E batterà di sicuro un record mondiale: quello di inaugurare due volte la stessa opera. La prima il 22 settembre 2005 in una coreografìa di luci sfavillanti che fece il giro dei tg di tutta Italia. E che nascose a stento l'immagine dei cantieri in piena attività. Ora si replica. Peccato che ai residenti la «pompa di benzina», il nomignolo che hanno affibbiato alla teca, vada decisamente di traverso: «L'opera non ci piace assolutamente - sbotta Adriano Angelini, presidente del comitato di quartiere «Il Tridente» - Lo abbiamo detto fino dall'inizio. Piazza Augusto Imperatore doveva avere la priorità. Invece resta abbandonata a sé stessa. È diventata una sorta di baraccopoli sepolta dall'immondizia. Il lavoro dell'architetto americano è di stampo troppo moderno, non si integra assolutamente con il centro di Roma». I lavori, fra progetto e intervento, vanno avanti da circa dieci anni e sono costati ufficialmente 13 milioni di euro. Italia Nostra contesta: molto di più, circa 17 milioni. In ogni caso quasi tre volte la somma iniziale - 5,9 milioni - concordata con l'ex sindaco Rutelli. I ritrovamenti archeologici hanno costretto a numerose variazioni in corso d'opera. Che hanno portato i costi alle stelle. «All'epoca, Rutelli aveva pure promesso che i lavori sarebbero durati uno-due anni» sottolinea Marsilio. Ne sono occorsi invece sette. E anche questo è un record mondiale. Con la piena partecipazione del successore: il sindaco Veltroni.

Ara Pacis, il restauro sotto gli occhi dei visitatori

Ara Pacis, il restauro sotto gli occhi dei visitatori
Claudio Marincola
Messaggero Cronaca di Roma, 19-APR-2006

Si alza venerdì il sipario sull'Ara Pacis, il complesso progettato dall'architetto americano Richard Meier su oltre quattromila metri quadrati. Dopo l'apertura i restauratori lavoreranno sotto gli occhi dei visitatori, come se fosse un cantiere scuola. Nei sotterranei sarà ospitato un Centro studi augustei. Il vice sindaco Maria Pia Garavaglia presenterà un'unica card per accedere nei musei statali e comunali.
Marincola all'interno

È il monumento che Augusto fece edificare come simbolo di pace. Per ironia della Storia è lo stesso che nel terzo Millennio ha scatenato una disputa senza fine. Le prime polemiche datano 1999. E in realtà non sono mai finite. Da una parte i "conservatori" che avrebbero voluto mantenere intatta la teca realizzata nel 1938 in tutta fretta dall'architetto Vittorio Ballio Morpurgo, dall'altra il nuovo progetto, un grande complesso di oltre 4237 mq, un'opera di ingegneria strutturale, un gioco di ombre e di luci.
Il Museo s'inaugura dopodomani. Già dalle 15 i primi visitatori potranno ammirare l'Altare edificato nel I secolo a.C al centro di una grande struttura di vetro e travertino. Il progetto che l'americano Richard Meier, star dell'architettura
mondiale, è riuscito a portare a termine è più o meno lo stesso che alcuni definirono la bara Pacis e altri con meno veleno l'Ara sine pace. Ma è destino di questo Paese dividersi (e il fiuto di Augusto imperatore già all'epoca in cerca di pax
varrebbe un supplemento di indagini).
«Non mi sembra vero che questo giorno sia arrivato - ammette il professor Eugenio La Rocca, soprintendente comunale ai Beni culturali - quelle polemiche rasentarono l'assurdo: il vero protagonista era e rimane il monumento. Che a causa dei danni prodotti dal traffico e dall'inquinamento -continua il professore - richiederà un'opera di pulizia e di recupero delicata. I restauratori lavoreranno sotto gli occhi dei visitatori, sarà bello ed anche interessante vederli all'opera, un motivo in più per venire all'Ara Pacis».
A parte il primo giorno in cui l'orario sarà prolungato fino alle 22 per tutti gli altri il Museo sarà accessibile dalle 9 alle 19. E sarà una sorta di cantiere-scuola, un esempio concreto di work in progress. «Negli spazi sotterranei realizzeremo un Centro studi augustei, gli altri spazi serviranno per esporre i frammenti dell'Altare che sono stati recuperati ma non inseriti nel monumento», spiega ancora La Rocca.
Per rispettare i tempi il cantiere è rimasto aperto anche durante le festività pasquali (gli operai hanno lavorato anche il Lunedì dell'Angelo). Gli spazi che verranno inaugurati nella ricorrenza del Natale di Roma non comprendono però né l'auditorium né la fontana per il momento chiusi al pubblico. «Non facevano parte dell'appalto e verranno consegnati entro giugno», chiarisce Gennaro Farina, il direttore dell'ufficio Città storica che ha seguito i lavori. Verrà completata la scalinata ma - come già era stato detto - senza la colonna che Meier avrebbe voluto. «Non siamo riusciti a trovarne una delle dimensioni chieste da Meier, (120 centimetri di diametro). Quelle che abbiamo o sono troppo piccole oppure già impiegate in spazi museali», ricorda il soprintendente che suggerì di attingere dai magazzini comunali per lasciare un segno coerente con il contesto architettonico. La ricerca dell'antica colonna continuerà anche nei prossimi mesi. L'obiettivo è collocare in cima e al centro della scalinata dalla quale si accede alla Teca una colonna con un rapporto in scala con lo gnomone, la "lancetta" dell'orologium augusti, la meridiana che indicava l'ora proiettando l'ombra.
Diverso è il caso della fontana. Per vederla in funzione e dotarla di un getto d'acqua adeguato sarà necessario potenziare la capacità idrica della zona. Commenta Morassut, assessore all'Urbaniastica: «Questo monumento riuscirà a imporsi e a farsi amare. Nonostante sia stato preceduto e accompagnato da un dibattito aspro, noi siamo riusciti a rispettare i tempi, la congruità di spesa e di procedure».
Infine un dettaglio che proprio dettaglio non è: nel giorno dell'inaugurazione verrà annunciata dal vice sindaco Maria Pia Garavaglia la nuova card, un'unica carta per accedere nei musei statali e comunali. Ora c'è un motivo in più per utilizzarla.

ALEMANNO CHOC «SE VINCO, SMONTO LA TECA DI MEIER»

ALEMANNO CHOC «SE VINCO, SMONTO LA TECA DI MEIER»
Alessandro Capponi
CORRIERE DELLA SERA 20-APR-2006

Il candidato Cdl sull'Ara Pacis. Perplessi gli alleati: «Forse scherzava...»

La sala della conferenza stampa alle pareti ha i poster della campagna elettorale, quelli col viso ragazzino di Alemanno, sorridente, leggero, la giacca portata sulla spalla: subito sotto, eccolo in carne e ossa, Alemanno, e sembra un'altra persona. È corrucciato, gli occhi un poco segnati, le mani a massaggiarsi, nervose. Marco Marsilio, consigliere comunale di An, ha appenà elencato «ritardi e sprechi», ha dato dei «vanagloriosi» a Rutelli e Veltroni, detto che «altro che celebrazioni, un sindaco che fa una cosa simile andrebbe processato. Un monarca fa cose così, in democrazia no». La tesi di An è quella nota: la teca che protegge l'Ara Pacis è «uno sfregio per la città, Roma è stata violentata, e con tempi e costi triplicati rispetto a quelli di partenza». E allora Alemanno dice subito che «se vinciamo, se divento sindaco, la teca di Meier sarà smantellata e andrà in periferia, ne faremo un museo». Le fondamenta della teca scendono oltre i cinquanta metri di profondità. Ma questo non sembra essere un problema per An, né gli altri, i costi e il tempo necessario per rifare tutto: «Noi faremo un concorso pubblico, invece dell'assegnazione diretta da monarca». E dunque: nel giorno in cui non c'è più alcun dubbio sulla scelta della Cdl per un unico sfidante di Veltroni - l'ufficialità arriderà stamani - il prescelto, Gianni Alemanno, lancia la sua proposta: Meier in periferia, all'Ara Pacis deve essere tutto rifatto. Oggi, altro tema: la Fiera di Roma. E probabilmente così sarà fino alle elezioni, ogni giorno un affondo.
Ma gli alleati cosa pensano della proposta di Alemanno sull'Ara Pacis. In verità, almeno fino a metà pomeriggio - prima del vertice pomeridiano - semplicemente, non sapevano. Baccini (Udc): «Dobbiamo ancora discutere del programma, Alemanno parlava da candidato di An, non da candidato della cdl». Antoniozzi (Forza Italia), prima ride poi dice: «Non so bene cosa dire, non mi pare rientri nel programma, di sicuro ancora non ce ne ha parlato. Io ho proposto il secondo Raccordo anulare...». Cutrufo, il senatore della Nuova De candidato al Campidoglio, prova a districarsi: «Ma scherzava o era serio?». Era serio. Ma lui non può saperlo e neanche può chiedere ragione proprio ad Alemanno, perché lui, Cutrufo, dice di non partecipare alla riunione pomeridiana in via dell'Umiltà: «Non sono stato invitato, partecipo invece alla riunione nazionale. Evidentemente pensano che la mia candidatura può rimanere. E sappiano che va bene anche a me: con un candidato di destra e uno di sinistra, uno di centro, non farà male». Anche se poi Cutrufo va alla riunione, e alla fine, all'uscita, sembra soddisfatto.
E mentre in via dell'Umiltà si succedono le dichiarazioni in favore di «Alemanno candidato unico», in città deflagra la polemica sulla teca di Meier. «Italia nostra» e «Agenzia per la città» si dichiarano d'accordo con la proposta di An. Invece la reazione dell'assessore del Campidoglio, Roberto Morassut, è critica: «La proposta di Alemanno di smontare e trasferire la teca di Meier trasuda una cultura estremista che conferma la distanza da sensibilità moderate, responsabili e di governo. La CdL - continua Morassut - si sta affidando, come dimostra tale dichiarazione, ad un esponente politico che interpreta le posizioni più estremistiche dell'alleanza. A quando la proposta dello sventramento del Tridente e del Ghetto? Non si sa cosa dire di una dichiarazione di tale assurdità. Soltanto che mancano da parte della Cdl e del suo candidato programmi e idee credibili per Roma».

Meier: la mia teca per la luce di Roma

Meier: la mia teca per la luce di Roma
Alessandra Rubenni
21/04/2006, L'Unità, Roma

Oggi l’attesa inaugurazione del museo dell’Ara Pacis. Intervista all’architetto che l’ha progettato.

«Lavorare a Roma è diverso. Sono molto felice di averlo fatto Spero alla mia teca vengano tante persone»

DOPO dieci anni di intoppi burocratici e sei di lavori, l’opera di Richard Meier vede la luce. E non è un caso se l’architetto americano, con la stessa parola, intende luminosità e leggerezza. Tonnellate di materiale, tra vetro, acciaio e travertino, sembrano sparite in una struttura senza peso. Al posto della vecchia teca di Morpurgo, realizzata nel ‘38 per proteggere l’Ara Pacis, adesso ci sono pareti pensate come una lunga corsa di cristallo. Con un piazza d’accesso in cima a una gradinata monumentale, e uno spazio espositivo sotterraneo, accanto al futuro auditorium. E l’entusiasmo di Meier cancella il ricordo della corsa a ostacoli. «Ci sono stati dei problemi - ammette - ma come in qualsiasi altro posto. Le difficoltà fanno parte del progetto. Però non ho mai pensato di non riuscire ad arrivare in fondo. Perché non si trattava solo dell’architetto Meier. In troppi lavoravano qui: questo progetto coinvolgeva migliaia di persone, non poteva fermarsi».Dal dopoguerra, questo è il primo intervento contemporaneo che s’incunea nel centro storico. «Non avevomai pensato di poter lavorare a Roma», ripete più volte Meier, ripensando al lungo periodo in cui l’architettura, nella Capitale, è rimasta paralizzata. Anzi «congelata», come dice lui. «So che adesso ci sono molti progetti per Roma.Non li ho visti, ma credo che sia un fatto molto positivo». Di certo, anche per Meier è stata un’esperienza speciale. «Sono molto felice di aver lavorato a Roma. C’è così tanto qui. Questa città è tutta una stratificazione di storia, un livello sopra l’altro», prosegue lui, che con la sua “teca” voleva appunto riportare un pezzo di storia dentro un sistema moderno, riportarla ai nostri tempi. E innamorato com’è della luce di Roma, lo ha fatto con una teoria di vetrate che funzionano come schermo acustico, amantenere uno stato sospeso di quiete, ma che lasciano entrare una cascata ininterrotta di luminosità. «Quando si entra in una chiesa non si può fare a meno di rivolgere lo sguardo verso l’alto. Qui però si vede la luce speciale di Roma. E tutt’intorno c’è piazza del Popolo, il Tevere... la storia è qui». La nuova “teca” infatti è una piazza che si apre al resto della città. «Il Pantheon è una grande opera, ma guarda verso il suo interno. Questo invece è uno spazio proiettato all’esterno». Ovviamente, il progetto ha dovuto tessere un rapporto con piazza Augusto Imperatore, su cui si alzano pure gli edifici di epoca fascista. «Quelli non sono bellissimi - concorda l’architetto - ma spero che questo sia un posto dove verranno migliaia di persone, che prima non avrebbero avuto delle ragioni per farlo». Mentre intorno ferve il lavoro degli operai, Meier fruga in un mucchio di giunti di ferro, accatastati vicino anche dei pezzi di travertino... a casa ne ho molti di questi souvenir, per ogni cantiere, tutti sistemati su delle mensole». Intanto, sulla piazza d’accesso, è ancora piantato il fusto di una colonna finta. «Ho chiesto di collocare lì una colonna antica, a rappresentare la storia». Ma questo resta un cruccio, perché la colonna - che il progettista newyorkese vorrebbe per ricordare l’obelisco dell’antica meridiana di Augusto - non si è ancora trovata. «Non so perché. Per la chiesa che ho progettato a Tor Tre Teste avevo chiesto un crocifisso medievale, o anche del Quattrocento. Il Vaticano ne ha tanti, che non vengono utilizzati. Alla finemene hanno dato uno del diciottesimo secolo». Magari anche stavolta andrà a finire così.

Una data simbolica oggi per il Natale di Roma, per la consegna ufficiale alla capitale del primo lotto della nuovo polo della Fiera di Roma. È stato il sindaco Walter Veltroni a brindare, allo scoccare della mezzanotte, insieme al presidente della Provincia Enrico Gasbarra, al nuovo polo fieristico situato sulla Portuense, sulla direttriceRoma- Fiumicino, progettato dall’architetto Tommaso Valle. I festeggiamenti, con circa 1.500 invitati, hanno preso il via, quindi, ieri sera con una cerimonia inaugurale per la consegna dei primi 8 padiglioni, cui se ne aggiungeranno altri 6 a fine anno. Per il sindaco Walter Veltroni sarà «un Natale di Roma particolarmente ricco di eventi quest’anno e denso di iniziative. Il miglior festeggiamento che la città possa avere». Partecipata al 47,4% dalla Camera di commercio di Roma, al 27,6 dal Comune e al 12,4% per ognuno da Regione Lazio e Sviluppo Lazio, la Fiera conta su investimenti complessivi fino al 2010 pari a 3,64 miliardi. In totale i padiglioni saranno 22, per una superficie complessiva di 920mila metri quadrati che ne faranno il primo polo fieristico europeo, con 14mila posti auto e 4mila posti adibiti a centro congressi. Un polo fieristico che, come ha sottolineato la scorsa settimana dall’amministratore delegato di Fiera di Roma, Marco Sogaro, sarà caratterizzato da incontri ‘Business to Business’. Per la prima fase sono stati investiti già 335 milioni di euro e 150 milioni per le strade di accesso. A partire dal 2009, inoltre, la Fiera genererà 8.400 nuovi occupati. La prima manifestazione a essere ospitata sarà, il 22 settembre prossimo OroCapital, poi fino a dicembre una serie di manifestazioni dedicate al turismo, alla nautica, all' impiantistica. Tra le attività per le quali Fiera di Roma ha già in corso accordi commerciali importanti, a marzo del prossimo anno un’esposizione dedicata alle attività subacquee, Eudishow, mentre per il turismo è previsto, sempre a marzo, in collaborazione con Rimini Fiere, un evento internazionale, Globe, dedicato esclusivamente agli operatori. Con la Nuova Fiera saranno anche potenziati i collegamenti stradali a Ponte Galeria. Si tratta della nuova bretella che, collegando il quartiere di Ponte Galeria, ha spiegato il presidente del XV Municipio, Giovanni Paris, permette di raggiungere via della Muratella senza attraversare il centro abitato. In questo modo, il traffico quotidiano che percorre questo tratto della via Portuense risulterà notevolmente alleggerito.

L'altare di guerra

L'altare di guerra
Valerio Magrelli
Corriere della Sera, Roma - 21/04/2006

Le polemiche sulla nuova teca dell'Ara Pacis sono ormai diventate un vero e proprio genere letterario. Dai pareri degli opinionisti alle analisi degli tecnici, dalle attestazioni di stima per l'autore alle invettive contro il suo operatole stata registrata ogni reazione. Sia chiaro: tale variegato ventaglio di passioni e riflessioni sta a significare che la nostra «polis» partecipa ai proprio avvenire, e che lo stato di salute civica risulta invidiabile. Tuttavia resta il fatto che, rispettò ad altre realizzazioni recenti, questo progetto appare il più controverso.
I motivi, indubbiamente, non mancano. Per esempio, evitando di sfidare un centro saturo di storia, forse sarebbe stato preferibile insistere nel riscattare zone meno prestigiose. Inoltre, piuttosto che disfare un manufatto dignitoso come quello preesistente, sarebbe stato auspicabile privilegiare una efficace campagna di restauri, magari proteggendo gli spazi pubblici dall'invasione di bar e ristoranti. Ciò detto, una volta giunti all'inaugurazione, la logica vorrebbe che si prendesse atto dello stato di cose, limitandosi semmai a lievi modifiche (vedi quel «muro del pianto» che nasconde una delle due chiese retrostanti). Invece, Gianni Alemanno, sfidante di Veltroni alla carica di sindaco, ha dichiarato che, in caso di vittoria, si impegnerà a smantellare, la teca di Meier, trasportandola in periferia per farne un museo.
I primi a esprimere qualche perplessità sono stati proprio alcuni tra i suoi alleati: come ignorare il tempo e le spese di una proposta simile? Come dimenticare i cinquanta metri di profondità delle fondamenta che reggono l'edificio? Dopo l'obelisco reso ad Addis Abeba (seppure sulla spinta di ben altre ragioni), la mania delle migrazioni architettoniche rischia di dilagare. Ma c'è dell'altro. Dietro l'affermazione di Alemanno si intravede una sorta di accanimento terapeutico. Quest'ara della pace rischia di trasformarsi in un altare della guerra. Impediamo che l'insistenza si tramuti in fissazione, in coazione a ripetere, in rappresaglia infinita. Riuscito o meno che sia, chiudiamo «l'affaire Meier», e approfittiamo anzi del conflitto sollevato, in modo da concertare un piano di priorità che, per quanto possibile, scongiuri in futuro nuovi scontri.

«La mia teca di luce resisterà alle polemiche»

«La mia teca di luce resisterà alle polemiche»
Giuseppe Pullara
Corriere della Sera - Roma, 21/04/2006

Intervista all'architetto americano nel giorno dell'inaugurazione: «Un candidato sindaco vuole spostare l'opera in periferia? Speriamo rivinca Walter...»

«Ogni cambiamento porta polemiche. Ma Roma non è solo passato: è futuro»

L'Intervista a Meier

Architetto Richard Meier, ci vuole presentare la «sua» Ara Pacis? Cosa ispira il progetto?
«Sono stato molto attento a creare un rapporto tra vecchio e nuovo, tra opera e contesto. Tra gli elementi naturali, come la luce, i colori, gli alberi, e ciò che invece è fatto dall'uomo. L'architettura è statica; ma deve riflettere le dinamiche naturali, i cambiamenti della luce e dei colori durante il giorno, nel corso delle stagioni: questo vuole esprimere l'edificio, pensato per accompagnare via via, in una sequenza di luce diversa, il visitatore ad ammirare l'Ara di Augusto».

Il museo non è allineato sul profilo di via Ripetta, sporgendone in modo evidente. Ha rotto un equilìbrio: l'ha fatto apposta?
«Mi e stato detto di conservare la scritta delle Res Gestae. Così ho dovuto inglobarla nell'edificio, spostandone in fuori il profilo».

Perché ha scelto questa scala nel dare le dimensioni al museo? Alcuni dicono: è bello, ma troppo grande.
«E' semplice: mi sono rifatto alle dimensioni dell'Altare. Bisognava creare uno spazio in perfetta proporzione. Ma è anche vero che alla fine si tratta di una valutazione del tutto soggettiva».

Quali cambiamenti ha apportato al progetto originale, oltre l'eliminazione del «muro» di fronte alla chiesa?
«Il muro era pensato per separare lo spazio del museo e della piazza dal traffico del Lungotevere. So che il problema sarà risolto con un tunnel, che consentirà la creazione di uno spazio continuo tra la piazza e il Tevere. Sarà terrific!».

Perché pretende che il segno verticale sulla scalinata sia un monolito? Perché non ha accettato che sia composto da più parti?
«Poteva essere una colonna, ma non si è trovata delle dimensioni giuste. Si tratta di un segno che simboleggia l'essenzialità, e quindi non può' che essere un monolito, come gli obelischi».

Lei ha uno stile architettonico inconfondibile. Questo suo museo romano cos'ha di particolare rispetto alle altre sue opere?
«In tutti i miei lavori esiste un rapporto tra spazio aperto e spazio chiuso, risolto con la trasparenza che consente il passaggio della luce all'interno degli edifici. In questo caso, mi sono impegnato a rispettare in modo particolare il valore dell'Altare avvolgendolo in una aura luminosa appropriata. Inoltre, ho voluto accompagnare la "passeggiata" del visitatore verso l'Ara con un'intensità di luce diversa».

Le grandi vetrate sono segnate da elementi orizzontali frangisole. Funzionali o anche decorativi?
«Sono necessari per formare ombra, ma devo dire che creano anche un effetto di profondità nella vetrata liscia. Come le facciate dei palazzi, qui a Roma, con gli sbalzi delle finestre, i cornicioni».

I suoi edifìci hanno spesso coniugato linea e curva. Lo ha fatto nella chiesa di Tor Tre Teste, non qui. Perché?
«La curva, socchiude uno spazio, invita al raccoglimento. Va bene per la chiesa, qui non ce n'è bisogno. Eppoi con il gigantesco cerchio del mausoleo di Augusto di fronte è impossibile tracciare qualsiasi altra curva».

La geometria per lei è quasi un'ossessione. In questo museo perfino il taglio del travertino evidenzia l'incrocio delle linee.
«La geometria crea un rapporto tra gli elementi architettonici. E aiuta l'uomo a porsi in relazione con l'edificio che ha davanti».

Ha avuto problemi con il committente dell'Ara Pacis?
«E'un grosso committente, il Comune di Roma. Trattare con un ente pubblico è diverso che lavorare per un privato anche se si tratta di un'opera cento volte maggiore come il Getty Center di Los Angeles».

Le è mai capitato di "inaugurare" uno stesso lavoro due o tre volte?
(ride) «Veramente no, succede solo in Italia».

Dell'architettura di Roma cosa la colpisce di più?
«La sua stratificazione di stili. E la ricchezza della scala dei suoi spazi. Rispetto a Parigi, Roma è molto più adatta alla dimensione umana».

Quale edificio preferisce, qui a Roma?
«Sant'Ivo alla Sapienza. Per i rapporti tra le sue parti, per il movimento creato all'interno, per la sua scala volumetrica».

Lei è l'architetto della luce, che tratta come un materiale da costruzione. Come l'ha usato all'Ara Pacis?
«Come elemento che accompagna il visitatore a vedere l'Altare».

Il travertino: l'ha utilizzato al Getty Center di Los Angeles e qui. Come mai questo legame?
«Semplice: a LA mi è stato detto che non potevo usare il colore bianco, per una norma edilizia. Allora ho scelto una pietra che non è un semplice rivestimento: ha una forte espressione, profondità, è luminosa. In questo museo l'ho utilizzata perché il travertino è il marmo di Roma».

C'è una differenza tra la luce di LA e quella di Roma?
«Quella di Los Angeles è tagliente, forte. Qui c'è una luce calma, tranquilla».

La sua chiesa a Tor Tre Teste ha raccolto solo consensi. L'Ara Pacis, invece, molte polemiche. Perché?
«La chiesa è in periferia, non interessa a nessuno. E poi il committente è il Vaticano: qui chi osa toccarlo? Il museo cambia gli equilibri in una zona del centro storico, e ogni cambiamento è accolto da polemiche. Questo edificio dice che Roma non è solo passato, ma anche presente e futuro».

Perché lei preferisce progettare musei?
«Perché sono spazi pubblici, perché amo l'arte che contengono. Anche se mi chiedessero di progettare una scuola lo farei volentieri: infatti amo i bambini».

Lei ama molto Borromini. Se ne vede traccia nella sua chiesa romana. Non qui. Perché?
«Borrommini porta il pensiero e lo sguardo verso l'alto, fisicamente e spiritualmente. Nel museo si deve guardare dritto».

Come gli architetti del gotico, lei usa strutture essenziali e grandi vetrate. Le piace considerarsi un neo-gotico, un mistico?
«Lascio questa definizione agli storici di architettura. Mistico? Forse: amo la luce, e Dio è luce».

Quando progetta, si preoccupa di lasciare il suo segno o pensa a chi userà il suo edificio?
«Penso all'uso che la gente farà del mio lavoro. Per questo cerco di dare una scala umana agli spazi che disegno».

Che responsabilità ha l'architettura nei confronti della società?
«Deve rispettare la funzione che è assegnata all'oggetto architettonico. Ma poi bisogna andare oltre: l'operà deve anche essere bella».

La teca di Morpurgo che avvolgeva l'Ara Pacis è durata 60 anni. Quanto durerà il suo museo?
«Almeno altrettanti Ma spero di più».

Un candidato sindaco della destra, Gianni Alemanno, ha detto che se vince farà spostare la «sua» Ara Pacis in periferia, per sanare la ferita inferta alla città storica. Che dice, Meier?
«Che devo dire? Spero che vinca Veltroni, che oltre tutto è un buon sindaco».

La pace di marmo del divino Augusto

La pace di marmo del divino Augusto
il manifesto, 21/04/2006

«Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia... compiute felicemente le imprese in quelle province, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augustea presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale» (Res gestae divi Augusti 12,2). E così fu. La costruzione dell'Ara Pacis fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. ma la dedicatio del monumento fu celebrata il 30 gennaio del 9 a.C: il completamento dell'opera richiese dunque tre anni e mezzo. Il tempo necessario per realizzare la ricca e complessa decorazione - affidata probabilmente a scultori neoattici attivi a Roma nel I secolo a.C. - che corre sia sui lati esterni che su quelli interni del monumento e che rappresenta uno dei capolavori della scultura classica. L'Ara Pacis -che rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte augustea -, è costituita da un recinto che contiene l'altare dove venivano compiuti i sacrifici. Sorgeva lungo la via Flaminia, alla distanza esatta di un miglio dal pomerium, limite oltre il quale decadevano i poteri militari del magistrato. Il suo declino ebbe inizio nel II secolo d.C, quando i lavori effettuati nel Campo Marzio dagli Antonini ne determinarono il progressivo, inesorabile interramento.
Il ritrovamento dell'Ara Pacis avviene per tappe, lungo un arco di tempo che abbraccia quasi quattro secoli. Nel 1568, sotto palazzo Peretti, furono ritrovati nove grandi blocchi di marmo scolpiti su entrambi i lati che furono acquistati per conto del Granduca di Toscana e quindi trasferiti a Firenze, dopo essere stati segati nel senso dello spessore per facilitarne il trasporto e l'esposizione. Un grande frammento figurato «emigrò» al museo del Louvre, dove si trova tuttora; un secondo ai Musei Vaticani. Quasi tutte le parti decorate a festoni, invece, furono murate nella facciata di Villa Medici al Pincio, dove sono ancora oggi. Durante i lavori di consolidamento del palazzo (divenuto nel frattempo proprietà del duca di Fiano), a partire dal 1859, furono ritrovati il basamento dell'altare e numerosi altri frammenti che nel 1898 furono ceduti dal duca al Museo Nazionale Romano. Nel 1896 Eugen Petersen avanzò una ipotesi di ricostruzione e nel 1903 presentò allo Stato italiano un progetto per il recupero di tutti i frammenti rimasti a palazzo Peretti-Fiano. Ma la presenza di acqua e l'instabilità
del palazzo bloccarono ogni iniziativa.
Si giunge cosi al .1937. In vista del bimillenario della nascita di Augusto, il Consiglio dei ministri del regime fascista decretò il recupero e la ricostruzione dei frammenti che compongono l'Ara, all'epoca interrata a più di sette metri sotto la sede stradale. La ricomposizione fu affidata a Giuseppe Moretti: le lastre fiorentine furono recuperate e ricomposte e si eseguirono i calchi dei frammenti del Louvre, di Villa Medici e dei Musei
Vaticani. Nel 1938 iniziarono i lavori per la costruzione della teca di vetro e cemento dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo che dovrà contenere l'Ara.
Per la ricostruzione e la nuova collocazione dell'Ara Pacis, Mussolini diede ampio mandato al ministero per l'educazione nazionale. La scelta cadde sull'area prospiciente il Mausoleo di Augusto, i cui scavi erano appena terminati, per farne un centro di memorie augustee. Ragioni di propaganda politica, dunque, per confezionare un «cuore» storico-mitologico della città moderna e del moderno impero in genealogia con la Roma antica. Si decise quindi di edificare un padiglione di protezione che fu ultimato nel settembre 1938.
E si arriva al 1995. L'allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, incarica l'architetto newyorchese Richard Meier di ideare una nuova musealizzazione in grado di integrarsi anche
con la vicina piazza Augusto Imperatore. Lo smantellamento della teca di Morpurgo e il nuovo progetto suscitano accese polemiche (di Vittorio Sgarbi, Giorgio Muratore, Federico Zeri...)- Nonostante il microclima interno al vecchio padiglione, con brusche variazioni di temperatura e di umidità, avesse causato non pochi problemi alla conservazione del monumento messo ulteriormente alla prova da altri fattori che certo non erano stati contemplati nel '38: l'inquinamento e il traffico. Il progetto di Meier prevede un livello di temperatura e di umidità costante e l'eliminazione di tutti gli agenti inquinanti, incluso il rumore. E i materiali proposti sono gli stessi suggeriti nel '37 da Morpurgo: travertino, stucco, vetro e acciaio. Nel 1998 il Consiglio comunale approva il progetto di Meier con alcurie modifiche al disegno originale, come l'eliminazione del muro che rischiava di oscurare le facciate delle chiese di San Rocco e di San Girolamo. Nel 2000 si avviano i lavori di costruzione che si allungheranno, tra polemiche, verifiche e stop, fino a oggi.

La teca di Meier costa quanto un quartiere

La teca di Meier costa quanto un quartiere
Nicoletta Orlandi Posti
Libero 22/4/2006

C'erano i giornalisti, i fotografi e le televisioni di mezzo mondo per il taglio del nastro della nuova Ara Pacis. Hanno consegnato alla storia il nuovo involucro del monumento firmato da Richard Meier, l'abbraccio tra il celebre l'architetto e il sindaco Veltroni, la folla di vip che si è accalcata per poter vedere da dentro la teca della discordia. Ma i media non hanno potuto fare a meno di riprendere anche la manifestazione di protesta organizzata da Fiamma Tricolore davanti al cantiere sul Lungotevere. Le bandiere nere e gli slogan urlati al megafono contro il sindaco e la teca di Meier hanno costretto la stampa e gli automobilisti romani intrappolati nel traffico a riflettere. «Roma non merita questo scempio» hanno scritto su un manifesto e sui volantini distribuiti agli invitati all'inaugurazione. Denunciano lo spreco di 40 milioni di euro, più i 16 milioni già sborsati da Rutelli, «per un'opera architettonica inutile e che stupra la città». «Anziché costruire questa cosa indegna e dare un sacco di soldi ad un architetto straniero», tuona il coordinatore regionale di Fiamma Tricolore, Gianluca Iannone, «si potevano fare case popolari. Con 56 milioni di euro si può realizzare un intero quartiere, sullo stile della Garbatella, con abitazioni in palazzi bassi, con massimo cinque nuclei familiari per palazzina, da 800 euro al metro quadro». Poi spiega: «Si devono utilizzare i terreni gratuiti del pubblico demanio e per la progettazione non si devono pagare famosi e costosi architetti, ma bandire concorsi fra giovani ». Il calcolo non fa una piega. Con 56 milioni di euro si possono costruire 1.400 case da 50 mq che costano 40 mila euro. La protesta contro la mega opera di Meier viaggia anche on air. Dai microfoni di "Nuova Spazio Radio", durante la trasmissione "La Sfida", Vittorio Sgarbi non usa mezzi termini per definire la teca: «Un cesso inverecondo firmato da un architetto incapace pagato due milioni di euro». Il critico d'arte ha ricordato il suo impegno da sottosegretario ai Beni culturali per bloccare i lavori. «Tolgano l'ostaggio augusteo e ci facciano una pizzeria» hainveito Sgarbi. «Non ci sono parole per definire lo scempio realizzato da Rutelli e Veltroni. Ma quale inaugurazione, dovrebbero vergognarsi. Come si fa a fare a due passi dall'antico porto di Ripetta, un simile obbrobrio, una pompa di benzina invereconda realizzata da un architetto incapace, pagato senza concorso pubblico?».
Mentre il candidato sindaco della Cdl Alemanno promette il suo smantellamento e i consiglieri di An e della Lista Storace protestano aspramente contro la seconda inaugurazione con i cantieri ancora aperti, diverse associazioni dei consumatori sollevano critiche. Ultima l'Aduc che attacca soprattutto i costi della gigantesca opera. «Nel 2002 abbiamo presentato un esposto alla Corte dei Conti per il progressivo aumentare dei costi», afferma il segretario Primo Mastrantoni che punta l'indice anche per il sottopasso previsto nel progetto per far scorrere le auto e consentire la pedonalizzazione dell'area fino al Tevere. «L'operazione», osserva Mastrantoni, «costa 40 milioni di euro. Non ci si poteva pensare prima? Alla fine non resta che constatare l'incapacità di assumere decisioni razionali e coordinate».

L'Ara Pacis inaugurata tra le polemiche. Veltroni: splendido. Alemanno: uno sfregio

L'Ara Pacis inaugurata tra le polemiche. Veltroni: splendido. Alemanno: uno sfregio
E. Sa.
Corriere della Sera 22/4/2006

ROMA — Tra mille polemiche si è infine inaugurato, ieri, in occasione del Natale di Roma, il nuovo Museo dell'Ara Pacis, nel cuore del centro storico della Capitale. A tenere a battesimo la nuova teca in acciaio, vetro e travertino, firmata dall'architetto americano Richard Meier, il sindaco Walter Veltroni: «Restituiamo ai cittadini romani e di tutto il mondo questo splendido monumento finalmente messo in sicurezza, portando a termine un progetto già iniziato da Francesco Rutelli» il suo commento.
I lavori per il nuovo involucro, che protegge l'altare fatto costruire dall'Imperatore Augusto nel 13 avanti Cristo per celebrare le vittorie in Spagna e Gallia, sono infatti durati sette anni e costati 13 milioni di euro. Cifre e tempi che negli ultimi anni hanno su-scitato mille proteste, per quella che i romani hanno già ribattezzato l'«Ara (sine) Pacis».
Il progetto di Meier, che avrà ora un seguito con l'interramento di una parte del Lungotevere e la pedonalizzazione della zona, sostituisce infatti una teca precedentemente realizzata negli anni Trenta (e demolita) dall'architetto Vittorio Morpurgo. E l'incarico per il nuovo contenitore fu affidato a Meier, senza un concorso, direttamente dall'allora sindaco di Roma Francesco Rutelli, anche lui presente ieri all'inaugurazione. «Pompa di benzina», il commento più benevolo diffuso tra il fronte nemico della nuova opera architettonica. Un fronte variegato, capitanato dall'ex sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi, che pur con sfumature diverse ha tenuto insieme Alleanza nazionale, un'associazione come Italia Nostra e vari architetti.
«Un cesso inverecondo firmato da un architetto incapace pagato due milioni di euro» ha ribadito ieri Sgarbi. E l'opera continua ad animare lo scontro, politico (spesso) ed estetico. Gianni Alemanno, prossimo sfidante di Veltroni alla carica di sindaco, ha già fatto sapere che in caso di vittoria farà smontare la teca («Un vero sfregio») per poi trasferirla in periferia. «La sua dichiarazione — replica Legambiente — trasuda un'inaccettabile cultura urbanisticamente razziale per le periferie». E ieri, mentre Veltroni e Meier posavano per i flash, poco lontano inveivano contro il nuovo museo appena inaugurato anche alcuni militanti di Fiamma tricolore, con teste rasate e bandiere nere.

Violent culture clash over ultra-modern monument to peace

Violent culture clash over ultra-modern monument to peace
Martin Penner
The Times 22/4/2006

Its critics say it looks like a petrol station, a municipal swimming baths or even a giant coffin. It is derided as an insult to Romans and hopelessly out of keeping with its surroundings. A prominent art critic has even advised the city's architecture students to blow it up.
Rome's new Museum of the Ara Pacis, designed by Richard Meier, the American architect responsible for the Getty Museum in Los Angeles, has had a troubled gestation. Built to house an ancient Roman altar to peace, the 4,000 sq metre oblong of glass and travertine marble took eight years to complete and there have been polemics at every stage.
It was finally opened to the public yesterday amid a mixture of exultation and sneers.
"This is a great opportunity for tourists and for the city, something to add to the riches that Rome offers visitors," Walter Veltroni, the Mayor, said at a ribbon-cutting ceremony. The site, which people must pay €6.50 (£4.50) to enter, includes underground archaeological displays, a 200-seat auditorium, a coffee shop and a fountain, as well as the famed Ara Pacis itself.
The museum, which cost €13 million to build, is one of very few ultra-modern structures in the heart of the Eternal City. And this is partly why it has provoked outrage.
Gianni Alemanno, the right-wing challenger to become mayor this year, said that the box-like building was a prime example of "how not to insert modern architecture into a city like Rome". It "obliterated" its Baroque surroundings, he continued, vowing to take it apart and rebuild it elsewhere if he is elected.
Meier, a former winner of architecture's highest honour, the Pritzker Prize, is known and widely appreciated for his stark, minimalist style. He explained his extensive use of glass in the Ara Pacis structure as an attempt to wrap it in a luminous aura.
As for claims that the building is too big and too square, he says that it is in perfect proportion with its centrepiece.
But he has failed to convince Vittorio Sgarbi, Italy's former Culture Under-Secretary and a fierce critic of the project. He called Meier an "arid, insensitive" man who "knows Rome like I know Tibet". Graffiti scrawled on hoardings during construction conveyed a similar idea. A common word used was cesso, a vulgar Italian word for toilet.
Whatever its aesthetic qualities, the museum will undoubtedly be good for the Ara Pacis, which will be protected from pollution. Positioned near a busy highway, its stone carvings have become darkened over the years. Now the air around it will be kept at exactly 20C (70F) and humidity at 40 per cent as restorers set to work cleaning it.
Roberto Morassut, the Rome councillor in charge of urban planning, insisted that the museum was a perfect synthesis between past and future. The ancient Ara Pacis altar, erected by Emperor Augustus in AD9 to celebrate peace in the empire, is decorated with some of the finest Roman sculptures in existence.

Benvenuti all’Ara Pacis il museo che è un cantiere

Benvenuti all’Ara Pacis il museo che è un cantiere
Daniele Petraroli
22/04/2006, Il Giornale

«Veltroni inaugura uno sfregio nel centro storico che si potrà rimuovere e mettere in periferia», è l'opinione del candidato sindaco della Cdl Gianni Alemanno. «Comprendiamo le esigenze scenografiche e propagandistiche del sindaco Veltroni - ha detto il consigliere comunale Marco Marsilio - e la suggestiva coincidenza dell'inaugurazione dell'Ara Pacis con il Natale di Roma ma ancora una volta, purtroppo, ci troviamo ad assistere all'inaugurazione di un cantiere». Dura contestazione al sindaco anche da parte dei militanti della Fiamma tricolore. «Protestiamo contro questo obbrobrio architettonico - è il commento del coordinatore regionale Gianluca Iannone - che offende e umilia Roma».
Il commento più duro, però, lo riserva l'ex sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi da sempre in prima fila contro il progetto di Meier: «È un cesso inverecondo firmato da un architetto incapace pagato due milioni di euro. Ora l'unica soluzione è quella di togliere l'ostaggio, portare via l'Ara Pacis e trasformare quel cesso in una pizzeria». Per il capogruppo in Regione della Lista Storace Fabio Desideri «si tratta di un'opera inutile il cui cantiere, un brontosauro che fagocita spazio e crea caos, tiene ingessato da anni il centro storico acuendo i problemi di piazza Augusto Imperatore». E il sindaco cosa pensa delle polemiche sulla nuova teca di Meier? «Siamo in campagna elettorale, è inevitabile che ci sia tutto questo», è la sua prima risposta. Ma è la frase seguente ad essere significativa. «Un progetto molto discusso così come sono molto discusse tutte le grandi opere architettoniche realizzate nei centri storici delle grandi città».

La nuova Ara Pacis tra vetrate e vetriolo

La nuova Ara Pacis tra vetrate e vetriolo
Alessandra Rubenni
22/04/2006, L'Unità, Roma

Chi lo guarda con diffidenza, chi con piacere. Qualcuno loda l’effetto dirompente, altri allargano le braccia: ormai il Museo di Meier c’è e finalmente possono partire i nuovi progetti per ricucire quel pezzo di città con il fiume. Tempo due settimane e arriverà il concorso internazionale per ridisegnare il quadrilatero di piazza Augusto Imperatore. E poi si parla del progetto più accattivante, quello per incanalare il traffico del lungotevere nel futuro sottopasso. Fra tante voci, la più serafica è di Bernardo Bertolucci. «C’è una leggerezza quasi liquida... È come se l’Ara Pacis galleggiasse in una luce liquida», sussurra il regista uscendo dalla nuova teca che protegge il monumento augusteo. Lì fuori ha trovato un’altra sorpresa: il basamento della vecchia teca, vale a dire il muro delle Res Gestae dove si narrano le gesta dell’imperatore, è stato inglobato nell’opera firmata da Richard Meier.
«Sono contento che sia rimasta la scritta che avevo inserito nel mio film Il conformista».
Gli architetti, intanto, si addentrano nelle questioni di merito.
Conciso e malizioso Massimiliano Fuksas: le polemiche sull’Ara Pacis?
«Roma è in grado di superare ed assorbire tutto. Speriamo in un futuro migliore», dice l’archistar che ha progettato la “Nuvola” dell’Eur.Mentre Franco Purini, altro grande nome dell’architettura, giudica l’opera «buona». «Inizialmente pensavo fosse possibile recuperare la teca di Morpurgo, ma non è stato possibile. Ora - si schiera Purini - accolgo con favore questa nuova opera, che però pone dei problemi da approfondire, come il rapporto con il fronte che si affaccia su via di Ripetta, che ha una struttura urbanistica molto severa: adesso c’è un elemento dissonante e ci vorrà molta cura per riorganizzare la piazza in modo da riassorbirlo nella tessitura romana. In ogni caso - conclude il progettista - sono assolutamente d’accordo con il progetto per recuperare l’affaccio sul Tevere, realizzando un sottopasso in cui incanalare il traffico e ricavare parcheggi. È l’idea che io avevo avuto 40 anni fa».

Ma naturalmente tutto dipende dai punti di vista.
Il pittore Gianni Dessì, ad esempio, ne ha uno molto più provocatorio. «All’inizio non pensavo che quest’intervento fosse necessario, mi sembrava una scelta azzardata. Ora che c’è - confessa l’artista romano - non mi dispiace per niente. Si vede da chilometri che è opera di un architetto che sa cosa fa».
I progetti per la piazza, Dessì ammette di non conoscerli. «Ma non credo che si debba armonizzare quello spazio. Quello che mi piace - prosegue - è l’accostamento forte e arbitrario. Il fatto che quell’opera sia incastonata con violenza in quel paesaggio».
A rispolverare tutti i punti contestati al progetto di Meier in 10 anni di diatribe ci pensa invece Leonardo Benevolo, urbanista di fama internazionale, che tuttavia salva l’opera dell’architetto newyorkese. «È un buon progetto su un programma assolutamente sbagliato», decreta il professore. Perché Meier è un maestro, ma gli hanno chiesto di fare la cosa sbagliata, ovvero realizzare «stanze e stanzette» intorno all’Ara Pacis, quando il monumento romano aveva soltanto bisogno di una teca moderna per sostituire quella del ’38, che cadeva a pezzi. Invece ora «l’edificio di Meier si sovrappone all’antico porto di Ripetta. E adesso il vero pericolo - ammonisce Benevolo - è che si faccia il sottopasso del Lungotevere, distruggendo definitivamente quello che resta del porto di Ripetta e rendendo impossibile il grande progetto di liberare la riva sinistra del Tevere da lì fino alla Bocca della Verità, che è una delle grandi possibilità del futuro».
Insomma, bisognava pensarci prima. E anche la soprintendente archeologica di Ostia Antica, Anna Galina Zevi, a suo tempo forse avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla decisione di lasciare l’Ara Pacis nel punto in cui fu piazzata in epoca fascista. «Ma io sono un’archeologa - premette Galina Zevi col sorriso - e in più sono vecchia e anche cogliona... ma questa è una cosa che condivido con molti. Penso che l’involucro esterno sia un po’ da digerire, ma all’interno il monumento si vede bene. Di certo, questa struttura lascia un segno forte ed è un ulteriore elemento che sorge proprio dove, nell’antichità, c’era un’apertura verso il fiume. Ma è positivo se tutto questo riapre una discussione e si pensa a recuperare il rapporto dei monumenti con il Tevere».


Lo spazio costruito da Richard Meier, intorno all’Ara Pacis (così come quello realizzato da Carlo Aymonino per il Marco Aurelio), consente di vedere il monumento in condizioni incomparabilmente migliori. Nella cosiddetta teca di Morpurgo, opera più probabilmente di un anonimo ufficio tecnico, il visitatore soffocava: qui ha spazio, aria, luce. Questo dev’essere il punto di partenza di ogni ragionamento. In certi particolari, come il raccordo tra la parete di vetro ed il muro di travertino, felice omaggio al carattere della città di Roma, Richard Meier ha anche saputo dare una lezione di stile. A questo punto bisogna «far lavorare» la città, lasciare che il nuovo monumento si sottoponga alla critica dell’uso e della vita quotidiana. Insistere nelle stesse polemiche che per sette anni hanno accompagnato il lavoro di Meier mi sembrerebbe un atteggiamento da «ultimi giapponesi». Nello stesso tempo, mi domando come mai Meier non raggiunga, almeno completamente, in quest’opera, la stessa felicità che aveva colpito e meravigliato i romani nella chiesa di Tor Tre Teste. L’architetto, mi rispondo, è come una spugna, è sensibile all’ambiente in cui agisce, e sicuramente su Meier ha pesato una certa insicurezza. Riflesso dell’incertezza in primo luogo della stessa committenza, il Comune di Roma, su punti decisivi, come il rapporto con le due Chiese, con il Tevere e con il Lungotevere, e soprattutto con la piazza realizzata per Mussolini, isolando l’Augusteo, da Ballio Morpurgo nell’occasione particolarmente simbolica del Bimillenario di Augusto: rendendo oscillanti persino le dimensioni del nuovo Museo. Ripensamenti, dubbi, soluzioni non felici (come il raccordo tra le quattro colonne che circondano l’Ara ed il soffitto), sono ben visibili. Possiamo perciò domandarci quale sarebbe stato il risultato se il nuovo Museo fosse stato il risultato di un Concorso Internazionale, e non di un’iniziativa diretta dell’allora Sindaco Rutelli. I bandi di concorso hanno anche questo pregio: che obbligano (o almeno dovrebbero) la committenza a chiarire fin nei dettagli le proprie intenzioni. Ed augurarci che ilConcorso internazionale per la piazza che il Comune bandirà tra pochi giorni riesca a risolvere i non pochi problemi rimasti aperti. Anche una città ricca di storia come Roma, poiché è una città che vive nel presente, è infatti in primo luogo una città contemporanea. Ma affermarne la modernità richiede un’opera di progettazione complessa e strutturata; che non si risolve certo con l’apposizione della griffe di qualche architetto di prestigio internazionale.

Il primo giorno d’apertura comincia tra la calca che preme per entrare nel nuovo Museo dell’Ara Pacis, con un esercito di giornalisti in testa, moltissimi stranieri, telecamere e flash. E dall’altro lato di piazza Augusto Imperatore, con la contestazione che sventola le bandiere nere col simbolo della Fiamma Tricolore. Per il progetto di Richard Meier, non sono bastati 10 anni di polemiche e intoppi burocratici: dopo l’annuncio di Alemanno, che vorrebbe smontare la teca dell’architetto newyorkese, arrivano anche le teste rasate. Ma le urla non oltrepassano il cancello del cantiere. All’entrata, il sindaco Veltroni abbraccia Meier. Poi una volata sui gradini della piazza d’accesso - lì dove a settembre, quando i lavori saranno definitivamente conclusi, zampillerà la fontana - e infine, schierati gli assessori capitolini all’Urbanistica e alla Cultura, e soprintendente comunale Eugenio La Rocca, il bagno di folla, a scaglioni. Alle 10 c’è un’orda di cronisti e architetti. Poi arriva l’infornata di curiosi, turisti italiani e stranieri, ministeriali e attori. Tutti a sfilare fra le pareti di cristallo che si stagliano sul lungotevere, 1.500 metri quadri di vetrate, che lasciano fuori l’inquinamento e il frastuono del traffico. Al centro della sala grande c’è l’Ara Pacis; sotto, la galleria dove saranno raccolti 500 frammenti del monumento e un’altro altare romano, l’Ara Pietatis. Lì accanto, aprirà l’auditorium da 200 posti. E Veltroni festeggia una giornata speciale. L’Ara Pacis finalmente è al riparo dalle intemperie e anche le polemiche più informate si sono calmate. «Non c’è opera architettonica, in qualsiasi città del mondo, che non sia stata oggetto di discussioni. Ma le città - dice il sindaco - sono un intreccio di tutela e di capacità di creare bellezza ». E Meier, emozionato davanti alla folla che riempie la sua teca, rilancia: «Spero che quando la gente verrà qui, in futuro, pensi al ruolo della pace nel mondo». Il pubblico intanto si divide nei giudizi. «È stupendo» per Arianna Ricci, che capeggia un gruppetto di un istituto d’arte. «Avrebbe potuto essere più leggero. Ma è positivo il fatto che sia creato uno spazio culturale in una zona desolata, com’era piazza Augusto Imperatore », dice Paul Zanker, noto studioso di archeologia. Intanto i direttori dei lavori, che hanno affiancato Meier, studiano la reazione della gente. E il titolare della ditta che ha fornito il travertino si fa fotografare davanti ai cartelli del cantiere, mentre arriva anche Francesco Rutelli. Lui, che nel ’97 diede a Meier l’incarico diretto di progettare l’opera, anziché indire un concorso, come i più avrebbero voluto. «Il dubbio che un lavoro possa venire meglio c’è sempre, anche con un concorso. Le polemiche sono possibili - dice Rutelli - ma poi bisogna guardare il risultato. A me sembra bellissimo».

L'Ara Pacis diventa un museo

L'Ara Pacis diventa un museo
Grazia Maria Coletti
Il Tempo 22/4/2006

L'Ara Pacis diventa museo. Ieri a Roma si è alzato il sipario sul monumento dedicato alle gesta di Augusto, protetto da una teca avveniristica progettata dall'architetto americano Meier. Soddisfatto il sindaco Veltroni. Fortemente critico il leader di An, Alemanno.

Meglio dentro che fuori. Perché la teca di intonaco bianco, vetro e travertino progettata dall'architetto americano Richard Meier per mettere in sicurezza e conservare l'Ara Pacis, ha trasformato l'altare della pace dell'Imperatore Augusto, in un museo vero, luogo di incontro con spazi espositivi, uffici e persino un auditorium, pronto a settembre. Certo, al bianco che spara sui caldi dorati della città antica dovremo farci l'occhio. E bisognerà abituarsi anche al contenitore, che ha preso il sopravvento sul contenuto. Ma quando i romani torneranno a darsi appuntamento sul lungotevere Marzio forse non diranno più «ci vediamo di fronte all'Ara Pacis» ma «vediamoci all'Ara Pacis». Perché insieme ad una delle espressioni più alte dell'arte classica, la città adesso ha un nuovo centro culturale da vivere.
Lo sapeva Meier, capelli lunghi e candidi, faccia paciosa, l'archittetto che tutti avevano applaudito per la chiesa di Tor Tre Teste, e che adesso invece o si ama o si odia. Difatti al taglio del nastro, ieri, dopo 7 anni di lavori, ha augurato a Veltroni «che possa usare questa struttura per grandi eventi culturali nel suo secondo mandato». È stata una inaugurazione condita di polemiche, e meno male, come nella migliore tradizione di ogni democrazia. Del resto «Roma è in grado di assorbire e superare tutto» taglierà corto sorridendo un altro famoso architetto, Massimiliano Fuksas, ideatore della Nuvola all'Eur.
«Oggi consegniamo ai romani l'Ara Pacis simbolo di una Roma che è antica e moderna» ha detto il sindaco Walter Veltroni che ha festeggiato il Natale della città, passando dalla Nuova Fiera di Roma inaugurata l'altra notte, all'Ara Pacis, al concerto all'Auditorium, ieri pomeriggio con il Papa e il presidente della Repubblica. Veltroni, assediato come una star da giornalisti, fotografi e tv di mezzo mondo, striscia le polemiche quando aggiunge: «A Roma il bello non è solo alle nostre spalle, non c'è una contraddizione insanabile tra
passato e futuro». Per il sindaco, accompagnato dalla moglie Flavia, «l'Ara Pacis come il Marc'Aurelio, che prima era imbrigliato in una stanzetta e ora respira nell'aula vetrata di Aymonino, ci insegnano che il passato si può proteggere solo con interventi di grande tecnologia» dice. E sembra voler mettere in guardia quando ricorda che «una grande metropoli deve salvaguardare la storia e l'archeologia, ma anche essere capace di aprirsi al nuovo. È giusto che si discuta, le discussioni di estetica e di cultura sono sacrosante, e nessuna opera contemporanea ne è esente, ma è diverso se si entra in considerazioni di altre sfere...».
Quando Walter Veltroni arriva all'Ara Pacis sono le 10.15. Un quarto d'ora prima, il cancello rosso s'era aperto a giornalisti e ospiti, davanti all'ingresso a piazza Augusto Imperatore. Dentro la Teca ci sono gli assessori capitolini all'Urbanistica, Roberto Morassut, e alla Cultura, Gianni Borgna. Ai lati della strada si schierano fotografi e operatori tv. Ma anche cittadini e turisti, che scattano foto coi cellulari per immortalare l'evento. Meier è già lì che
aspetta Veltroni. Una stretta di mano, un abbraccio, lo scambio di qualche battuta e sono dentro dove li aspetta il sovrintendente Eugenio La Rocca che illustra il plastico dell'area. C'è anche la folla delle grandi occasioni, insieme al vice-sindaco Maria Pia Garavaglia. Ci sono il leader della Margherita, Francesco Rutelli («mi sembra bellissimo» dirà) e Renato Nicolini («Trovo l'interno molto piacevole, trasparente e molto bella la piazza interna» dice i1 padre dell'Estate romana), e ancora il direttore della Darc Pio Baldi, la soprintendente archeologica di Ostia, Anna Gallina Zevi, così come mass media italiani e stranieri, archeologi, architetti, amministratori. E tanti vip per questa zona di Roma che è cambiata e cambierà ancora, eccome. A maggio ci sarà il bando internazionale del concorso per la sistemazione di piazza Augusto Imperatore e la realizzazione in project financing del sottopasso sul lungotevere, che farà sparire il traffico in superficie.

Esposizione, uffici e biblioteca
Un complesso lineare che si sviluppa da Nord a Sud, diviso in tre aree funzionali: il museo, la sala multimediale e gli uffici, al di sotto della nuova piattaforma, l'elemento più rilevante. L'area inaugurata ieri ingloba il muro delle "Res gestae" ed è protetta da nuove grandi vetrate. Il complesso espositivo è su due livelli. Ci sono una scalinata monumentale in travertino e un monolite che fa riferimento al Meridiano augusteo, ora in piazza Montecitorio. Sia il monolite che la fontana devono essere ancora realizzati.

Ara Pacis. Sgarbi il più duro. Il leader di An la vuole smontare

Ara Pacis. Sgarbi il più duro. Il leader di An la vuole smontare
Il Tempo 22/4/2006

Dopo la promessa del candidato sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che alla vigilia dell'inaugurazione della Teca Meier aveva detto: «se vinciamo noi, la smontiamo e la portiamo in periferia», il commento più duro sulla «nuova» Ara Pacis è arrivato ieri dal critico d'arte Vittorio Sgarbi, «Un cesso inverecondo firmato da un architetto incapace pagato due milioni di euro» dice Sgarbi dai microfoni di «La Sfida», la trasmissione radiofonica diretta dal consigliere regionale del Lazio di An Fabio Rampelli, in cui ha ricordato il suo impegno da sottosegretario ai Beni culturali per bloccare i lavori del cantiere di piazza Augusto Imperatore. «Ma purtroppo questo obbrobrio, questa bara - ha aggiunto - ha ottenuto tutti i permessi, non è abusiva. Ora l'unica soluzione è quella di togliere l'ostaggio, portare via l'Ara Pacis e trasformare quel cesso in una pizzeria». Mentre il grande architetto Massimiliano Fuksas gettava acqua sul fuoco con una sintesi: «Roma è in grado di superare e assorbire tutto, speriamo in un futuro migliore». «L'ara Pacis è svilita, squalificata da tutta una serie di cose, stanze, stanzette, un piccolo auditorium, un piccolo museo, insomma un buon progetto su un programma assolutamente sbagliato» per Leonardo Benevolo, urbanista di grande fama, per anni docente alla Facoltà di architettura di Valle Giulia a Roma. In mattinata s'era fatta sentire la Fiamma Tricolore, con un centinaio di manifestanti sul lungotevere Marzio, controllati a vista dalla polizia, che hanno distribuito volantini. «40 milioni per costruire uno scempio. Per far contento l'ennesimo architetto straniero». Il sindaco «sperpera il denaro dei romani per stuprare Roma» gridavano dai megafoni. Anche la città, o almeno i visitatori, l'hanno accolta divisa.

martedì 11 agosto 2009

Ara Pacis. Folla di visitatori, Cossiga «Un'offesa»

Ara Pacis. Folla di visitatori, Cossiga «Un'offesa»
Corriere della Sera, 24 aprile 2004

Una folla di romani e turisti ha «assediato» l'Ara Pacis e la nuova teca museo progettata da Richard Meier. Tra loro anche il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, che non ha nascosto il suo disappunto: «sono stato a vedere la sistemazione che si è voluta dare all'Ara Pacis a Roma: può essere che il malessere che poco dopo mi ha colpito sia dovuto a questo spaventoso impatto visivo». «Fortunatamente per lui - ha aggiunto il senatore a vita - l'amico Walter Veltroni ha accumulato tanti meriti come sindaco di Roma, che la realizzazione di questa opera indecente, che suona offesa al gusto ed alla maestà di Roma, può considerarsi ancora non un piccolo ma un grande peccato veniale».

Riserve, perplessità e bocciature. L'edificio scolpito rivestito di nuovo

Riserve, perplessità e bocciature. L'edificio scolpito rivestito di nuovo
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 26-APR-2006

Il padiglione in vetro e travertino, la pietra delle cave di Tivoli, che ospita ufficialmente dal 21 aprile scorso l’Ara Pacis Augustae, rappresenta - nell'idea del suo autore, l'architetto newyorchese Richard Meier (al quale si debbono alcuni dei più interessanti musei del Novecento) - un vero e proprio museo con spazi per la didattica, per mostre, per servizi di accoglienza, biblioteche e uffici. E proprio per queste numerose articolazioni la costruzione è apparsa esorbitante rispetto a quel recinto di marmo con altare all'interno, di poco più di 11 metri di lato, che venne votato dal Senato di Roma per commemorare le vittorie di Augusto in Gallia e in Spagna.
Molti architetti, tra i più famosi impegnati nel campo dell'urbanistica romana, hanno espresso con vari toni il loro dissenso che non è solo dell'ultima ora, giacché il progetto Meier era stato varato nel 1996, dopo che Francesco Rutelli, allora sindaco di Roma, aveva affidato all'architetto statunitense il compito di creare una struttura in grado di proteggere il monumento simbolo della pace augustea. Fin d'allora infatti l'opera era stata accolta con molte riserve e bocciata senza appello da Vittorio Sgarbi, allora sottosegretario ai Beni Culturali, e nel 1998 anche da Federico Zeri.
L'imponente edifìcio Meier si compone di tre settori: è preceduto da una scalinata che porta a una galleria e poi al padiglione dove è situato il monumento augusteo illuminato dalla luce dei lucernari e dagli ampi pannelli dì vetro schermato, tecnologicamente adeguati al filtraggio della luce, al1'isolamento termico e alla fonoassorbenza. A nord vi è poi una sala convegni su due livelli, un ristorante e quindi una terrazza con vista sul mausoleo di Augusto. Nel seminterrato ci sono la biblioteca, gli uffici, due ampi spazi museali, in uno dei quali sono presentati frammenti dell'ara di difficile collocazione e i rilievi di un altro altare, l'«Ara Pietatis», ex voto di Tiberio per la salute recuperata della madre Livia.
All'esterno una fontana e una colonna per segnalare la posizione dell'orologio solare che era stato posto in antico accanto all'altare. Tra le opere ancora da completare, un grande auditorìum, una terrazza protesa verso il Tevere, un tunnel che passerà al di sotto del Lungotevere, che consentirà al traffico di scorrere e insieme di fornire un parcheggio a più piani.
Ma forse l'imponente struttura sembra ancora più ingombrante perché inserita in una piazza (piazza Augusto Imperatore) eterogenea per l'architettura e ancora tutta da disegnare. A tal fine si sta provvedendo, questa volta con regolare concorso.

La Nuova Ara Pacis. Quei graffiti coi pareri della città «'Na boiata». «Ignorante, è bella»

La Nuova Ara Pacis. Quei graffiti coi pareri della città «'Na boiata». «Ignorante, è bella»
Paolo Brogi
CORRIERE DELLA SERA cronacaRoma, 26-APR-2006

Tremila visitatori al giorno per l'Ara Pacis di Meier. Un successo. Tra ammiratori e detrattori: intervengono Antonello Venditti (pro) e Carlo Ripa di Meana (contro). Ma intanto sui pannelli della recinzione (nella foto) fioriscono i commenti: «'Na boiata», «Ignorante, è una meraviglia».

Quasi tremila al giorno, da tre giorni. Come afflusso di persone, l'«Ara Pacis» complici i ponti primaverili e la forte presenza di turisti in città, è già un gran successo. Nonostante poi il discreto «pieno» di intellighenzia e mondo dello spettacolo, per l'inaugurazione, non manca chi non l'abbia ancora vista. Lina Wertmuller: «Rientro il 30 a Roma, andrò a visitarla, anche se ero affezionata fin da piccola a quell'involucro di Morpurgo...». o Renzo Arbore: «Ci devo proprio andare...». Intanto il dibattito ferve a pennarello sulla recinzione del cantiere. «Una meraviglia», scrive Francesca. «Meglio gli architetti secoli fa», ribatte un anonimo. «È bellissima, siete ignoranti», incalza Silvano. «'Na boiata, sei ignorante tu sia architettonicamente che culturalmente», la risposta. «Questo edificio è di plastica, forse è pure bello a modo suo, ma sembra vuoto», scrive Marco. E ancora: «Benvenuti al centro commerciale». «Osare! Osare! Osare!», ribatte quello accanto. «Bel progetto!», un altro.


Venditti: il ponte ideale fra passato e presente «Io? Io sono favorevole...».
Antonello Venditti apprezza la nuova «Ara Pacis». Gli basta la vista d'impatto, esterna, per dire la sua.
Allora, Venditti?
«L'Ara Pacis deve stare lì ed è un bene che sia stata riaperta. Vedere la gente in fila che va a visitare questa nuova sistemazione fa piacere».
E la teca di Meier?
«Mi piace. Questa città vive la sua storia, l’architettura di oggi sarà l'architettura di domani. Roma vive di questo. È una delle poche città che riesce a combinare bene passato e presente. Parigi è monocorde, diciamocelo, così anche Londra. Quindi è bene sovrapporre opere d'arte ad altre opere d'arte».
Le critiche a Meier...
«Aveva già fatto la chiesa di Tor Tre Teste. Non è venuto dal nulla. Insomma, o piace o non piace. A giudicare compiutamente la sua opera saranno solo i posteri. Chi parla di sfregio non sa cosa dice. Esagerano. Comunque stiamo assistendo a un fenomeno strano...»
Quale?
«Una campagna elettorale che si occupa molto di architettura. È una vera novità. Sentire tutto questo interesse per sampietrini, fontanelle, marmi. I problemi sono questi? In ogni caso tutto questo ci dice che Roma è una grande capitale della storia».
Ara Pacis: diventerà una canzone?
«No, ne farò però una sulla pace. Ce n'è bisogno».


Ripa di Meana: un segno violento e autoritario «Ero contrario prima e sono contrario ora...». Carlo Ripa di Meana, di Italia nostra, continua a opporsi alla nuova «Ara Pacis».
Contrario a priori, perché?
«L'operazione Meier comportava il rischio di non poter più intraprendere il recupero del Porto di Ripetta, sul Tevere. Italia Nostra di Roma, l'associazione che vanta nella sua storia persone come Tito Staderini e Antonio Cederna, ha fatto sua questa posizione».
Contrario oggi. Perché?
«Sono stato tra quelli che hanno seguito la prima pre-inaugurazione, nello scorso autunno, e poi sono tornato questa domenica. C'era un pubblico numeroso. Prima di mettermi in fila sono andato a vedere il manufatto dall'altra sponda del Tevere. Da là questa fiancata bianca, la più dura da metabolizzare, è al momento coperta dalle alberate. Meier, come dice Mario Fazio nel suo libro su Roma, è colossale geometrico e gigantismo. Le alberate per il momento ci salvano. Poi quando sono entrato sulla terrazza davanti alla teca ho avvertito una forte povertà...»
Cioè?
«Travertino di due millimetri di spessore, parapettini, perfino la vista sulla messa della chiesa sottostante...Struttura povera, più leggera di quanto ci si aspettasse, quasi intimorita. Qualcosa che sarà difficile rendere parte della città. Un incasso autoritario. Un tentativo violento di far saltare le protezioni nel Centro storico».

La teca di Meier? È un abuso edilizio

La teca di Meier? È un abuso edilizio
Pietro Samperi*
Il Giornale (Roma) 27/04/2006

Purtroppo il sindaco Veltroni ha perso una buona occasione, non arrivo a dire per criticare, ma almeno per dissociarsi dalla responsabilità (in origine non sua) dell'orribile nuovo
contenitore dell'Ara Pacis, tanto più che la sua nuova inaugurazione (dopo la precedente dello scorso anno), avvenuta per il Natale di Roma, è del tutto impropria, giacché l'opera è ancora incompiuta e non funzionante delle sue numerose - e ingiustificate - componenti complementari.
Evidentemente il sindaco tiene a confermare l'appellativo di «taglianastri», attribuitogli dai romani.
Mi risulta personalmente che anche autorevoli esponenti capitolini considerano un grave errore questa opera, ma allora perché averci insistito e non aver ammesso francamente l'errore?
Non si tratta soltanto di valutazioni estetiche, che possono essere soggettive, ma del rispetto di regole che devono andare ormai oltre ogni valutazione personale. L'opera infatti non è discutibile soltanto dal punto di vista architettonico ma, prima di tutto, inammissibile da quello urbanistico, giacché è ormai chiaramente acquisito dalla cultura contemporanea che alla base della salvaguardia dei centri storici, soprattutto quando raggiungono le caratteristiche e i valori di quello di Roma, vi è l'esclusione di ogni nuovo intervento che alteri l'ambiente e gli equilibri esistenti. Tanto più quando tali interventi non hanno alcuna motivazione di necessità o di urgenza. L'Ara Pacis era stata inserita negli Anni Trenta in una «teca» la cui consistenza era ridotta al minimo indispensabile per la protezione e, nello stesso tempo, consentiva la migliore visibilità del monumento, con linee sobrie, di buon gusto, ormai anch'esse storicizzate.
Il nuovo ingombrante e goffo manufatto architettonico, dai caratteri assolutamente estranei a quelli tradizionali della città - e di quel luogo, in particolare - è del tutto incompatibile con i principi culturali della conservazione dei centri storici, nonché, dal punto di vista formale, con la vigente disciplina urbanistica della zona A. Non vi possono essere motivazioni per derogare a questa normativa e, al riguardo, si potrebbe anche aver creato un precedente pericoloso. Questa opera, per la sua stessa concezione, oltre che per le sue forme, le dimensioni, i contenuti, costituisce un abuso edilizio tale che la sua autorizzazione assume, a mio avviso, una portata tale da essere non solo assai criticabile, ma anche illegittima e penalmente perseguibile.
Ricordo le polemiche seguite a metà degli Anni Sessanta per la deroga alla normativa della zona A, in sede di approvazione ministeriale del Prg del 1962, per consentire di ricostruire l'edificio di piazza del Parlamento, demolito prima della guerra per realizzare nuovi servizi per la Camera. Dopo aver sottoposto il progetto di ricostruzione a concorso nazionale, al quale partecipò il fior fiore degli architetti italiani, fra concorrenti e membri della Commissione di giudizio, dopo molti mesi di lavoro, pur in presenza di progetti di altissimo valore e dalle più diverse soluzioni architettoniche, la Commissione, anche se con un solo voto di scarto e il tentativo di salvataggio del presidente Pertini, non se la sentì di dichiarare un vincitore e consentire la realizzazione di un'opera che avrebbe permesso di risolvere il problema reale del vuoto esistente in quella prestigiosa piazza.
Un'ulteriore considerazione, se si vuole secondaria rispetto al danno irreparabile arrecato da questa opera, ma che conserva intera la sua gravità, è il costo, lievitato a oltre 40 milioni di euro (pari a 80 miliardi di lire), ingiustificabili rispetto alle odierne priorità della città.
È vero che, pressoché unanime, la cultura italiana ha bocciato questa opera, ma immaginiamo cosa sarebbe avvenuto se ne fosse stata responsabile una Giunta non di sinistra!
Non concordo con la proposta di demolirla o smontarla e trasferirla, ma a condizione che vi sia apposta una lapide ben visibile con i nomi, non tanto dell'autore (vi è sempre qualcuno capace di concepire un simile obbrobrio), quanto di tutti coloro che l'hanno condivisa, autorizzata e tollerata.
(*)Urbanista

Ara pacis. Meteorite massiccio e implacabile

Ara pacis. Meteorite massiccio e implacabile
Angiolo Bandinelli
Il Foglio, 29 aprile 2006

La nuova teca di Meier delude con troppe citazioni e poca innovazione.

Ma l'obelisco? L'obelisco dove è? E la colonna di granito di 120 cm. di diametro? E la fontana pensata "per dare un senso di movimento", con l'acqua che saltella sulla scalea d'ingresso evocando non le esondazioni del Tevere ma Villa d'Este e Villa Lante di Bagnaia? Le invenzioni con cui Meier pensava di abbellire la nuova teca dell'Ara Pacis ancora non ci sono, dicono che arriveranno. Che fossero invenzioni, però, c'è da dubitarne. Meier avrebbe ben potuto inventarsi qualcosa di inedito; se no, perché chiamare un americano? Comunque, il riferimento alla Roma antica non manca, ed è il muraglio-ne che ti accompagna fino alla biglietteria, palese ammiccamento alle mura serviane o allo stesso Mausoleo di Augusto, lì di fronte. Ma le mura serviane erano composte di grandi blocchi di tufo e il Mausoleo poggia su un anello di massi aggettanti e sporgenti, osculi e feroci, mentre il muraglione di Meier è un domino di lastroni di travertino con i costoloni in vista, sotto i quali senti il cemento armato, senza il "peso" e la forza dei modelli.
Se il richiamo all'antico è un po' frusto, potremo almeno ammirare la modernità del progetto? Qualcuno lo ha fatto, ma non ci ha convinti. La struttura - "di un bianco abbagliante", come enfatizzano i giornali - a noi pare un patchwork di citazioni dell'architettura razionalista internazionale o romana degli anni Trenta. Gli enormi piloni non saranno venuti dritti dritti da quelli dell'Eur? E le grandi vetrate non hanno l'aria familiare della sede della GIL di Via Ascianghi, celebre opera (1933) di Luigi Moretti? E il finestrone quadrato sul muro verso la piazza non è anch'esso di Moretti, o forse di De Renzi e Libera, gli autori delle Poste di Trastevere? I richiami ci rimandano fino alle travature in-tersecantisi di "De Stijl", con alcune cadute, tipo un anonimo superattico di soprelevazione anni Cinquanta o il noto negozio di abbigliamento che si apre a pochi passi, lungo il Corso, prima di Palazzo Chigi. Le citazioni vanno bene se rifuse in uno scatto di invenzione, che qui ci pare (e vorremmo essere confutati) assente. Ancora una volta l'occasione è sfumata: con le sue belle mostre Roma offre cultura, ma non la produce. Meier, forse intimidito da Roma o troppo ossequiente al suo cliché, quello "passatista" nei confronti del quale avrebbe dovuto dare un segnale di originale rottura, ha sbagliato tastiera. Ora non resta che attendere il promesso piano di riqualificazione dell'area. Si parla di un tunnel in cui interrare il lungotevere per far posto a una terrazza che ci restituisca l'affaccio sul fiume, come quando lì c'era il porto settecentesco di Ripetta distrutto dai piemontesi. Purtroppo, la terrazza avrà alle sue spalle il muraglione e la teca di Meier.
Nella progettualità di Vittorio Ballio Morpurgo, l'autore della teca preesistente e della piazza, i vari elementi erano subordinati al Mausoleo, che avrebbe dovuto essere la tomba del Duce. La teca di Meier, meteorite massiccio e implacabile, rovescia l'assunto diventando il fuoco ideale dell'area. E pensare che il nodo da sciogliere era (e resta) rendere in qualche modo fruibile il Mausoleo, oggi solo un "dente cariato" di cederniana memoria, in desolante abbandono. Ma si sa, quando si mette il carro davanti ai buoi, quando si vuole presuntuosamente e testardamente creare un'opera architettonica al di fuori di ogni contesto, che ci si può aspettare?

Ara Pacis, primi segni di incuria

Ara Pacis, primi segni di incuria
Paolo Brogi
CORRIERE DELLA SERA – Cronaca Roma, 03-MAG-2006

Danneggiato: è saltato un pezzo di travertino. Tra pedate e scalfitture già «segnata» l'Ara Pacis. Sporcato il bianco di Meier su parapetti e colonne

Bianco, bianchissimo, anzi sporco. La «teca» dell'Ara Pacis, a pochi giorni dalla sua apertura, mostra già vistosi segni di degrado. Il bianco immacolato e abbacinante delle strutture, così caro all'architetto Richard Meier, evidenzia macchie, scalfitture, segni di sporco e perfino, soprattutto nel piazzale esterno d'ingresso, parapetti ex candidi trasformati in una collezione visiva e imbarazzante di impronte di scarpe e quant'altro. Su una colonna esterna infine, proprio di fronte all'ingresso, una mano ha vergato a pennarello: «Bojata». Con la j, come usava una volta. Forse una mano di anziano, diversa da quelle più giovani che invece si sono limitate a segnalare sulla recinzione esterna in via Tomacelli pareri pro o contro, già segnalati nei giorni scorsi.
Peggio stanno le grandi colonne bianche all'interno, le tre del vestibolo e le quattro più alte intorno all'Ara: le prime, precedute da un vano tutto già scrostato di fronte al bookshop, mostrano segni neri in basso e a metà altezza (una, di fronte al pannello esplicativo, serve da appoggio ai lettori con le conseguenze del caso). Le altre quattro colonne, magniloquenti e massicce, ospitano non solo macchie e segni, ma anche scalfitture profonde.
Ma non è solo il bianco a mostrare le sue ferite, anche il travertino interno che accompagna cartongessi et similia fa già cilecca: nel pavimento, proprio sotto l'involucro dell'Ara Pacis un vistoso pezzo di marmo, all'altezza dell’angolo superiore sinistro della costruzione, giace distaccato dall’mpiantito e appoggiato sopra per coprire il buco. Poi, sempre a livello del pavimento, lato largo Augusto Imperatore, ecco tre estintori rossi stazionanti liberamente sull'impiantito. Sembrano appena abbandonati lì da qualcuno.
Appena aperta, l'Ara aveva subito mostrato quelle scritte esterne con i pareri, un fenomeno che continua. Le ultime del florilegio? «Brutto l'accesso, soffocante la copertura (travatura troppo e inutilmente) pesante, lati molto bene», scrive uno presumibilmente del mestiere. Altri più sbrigativi vergano: «Un autogrill», «La casella postale più costosa del mondo», «Meier assassino di Valadier», «Molti soldi per nulla...». Ma c'è anche chi risponde con un
icastico «Bello».
A proposito di queste scritte il vicesindaco Maria Pia Garaviglia nota: « Ildibattito sull'Ara Pacis, non ristretto a soli pochi intellettuali ma a tanti semplici cittadini, è un fenomeno nuovo e positivo che dimostra quanto le scelte di politica amministrativa e locale, sebbene abbiano un impatto addirittura internazionale, entrano nella vita di ognuno di noi, trasformando il nostro modo di partecipare il "pubblico". Alcuni hanno pensato di portare la discussione direttamente "in loco", imbrattando la recinzione esterna del cantiere per esprimere il loro giudizio sull'opera. Senz'altro è un modo originale di comunicare, ma assolutamente non positivo.Non sono fra quelli che considerano grafftttari e affini degli artisti incompresi. A Roma imbrattare significa danneggiare il patrimonio della città. Non è molto edificante pr un visitatore, italiano o
straniero...».
Il tema è vasto, le opinioni sono molteplici, la novità comunque c'è: appropriarsi di una zona «esterna», come in questo caso le recinzioni, per dire la propria. «In fondo questa è la città del Pasquino - ricorda l'architetto Renato Nicolini -. Queste scritte sono affascinanti. Ho sempre pensato a larghi spazi bianchi su cui dire la propria...». In questo caso sono servite allo scopo le recinzioni. Quello che capita invece dentro il monumento ha un altro nome: degrado. Quanto ai visitatori, Zetema che gestisce gli ingressi non fornisce dati. L'ufficio stampa dice di non disporre di dati ufficiali.

Ara Pacis, è ancora scontro

Ara Pacis, è ancora scontro
RENATA MAMBELLI
La Repubblica (Roma) 04/05/2006

L'ARA Pacis? Una mostruosità. Così Silvio Berlusconi ha liquidato la grande opera di Richard Meier che protegge da qualche giorno l'altare di Augusto del 9 a.C, inserendosi a sorpresa in una polemica che finora ha riguardato più che altro architetti e critici d'arte. Ma l'ex premier non si è certo fatto intimidire dalla questione della competenza. A Milano, presentando la lista di Forza Italia alle elezioni comunali ha dichiarato: «Abbiamo ristrutturato il Teatro alla Scala realizzandolo in tempo e senza spendere un centesimo in più. Ogni riferimento alla mostruosità dell'Ara Pacis è assolutamente voluto». La frase è di quelle ad effetto che comportano necessariamente una coda di polemiche. Esponenti di Forza Italia e di An di Roma e del Lazio si sono lanciati: «Non vogliamo entrare nel merito della qualità
architettonica di quest'opera», afferma la coordinatrice di Forza Italia Lazio Beatrice Lorenzin, «ma riteniamo abbia valide ragioni Berlusconi quando cita come esempio di efficienza la ristrutturazione del Teatro La Scala di Milano. Sette anni di lavoro non sono bastati per ridare ai cittadini romani e ai turisti nella sua interezza un monumento importantissimo per la capitale».
E il candidato a sindaco Alemanno. «Non solo Berlusconi ma anche Cossiga, Sgarbi, Portoghesi e molti altri urbanisti ed architetti hanno duramente criticato questo pessimo esempio di intervento invasivo nel cuore di un centro storico e che già sta cadendo a pezzi a soli dodici giorni dall'inaugurazione».
Risponde a tutti l'assessore capitolino all'urbanistica Roberto Morassut: «Mostruosa è l'ignoranza e l'inefficienza dimostrata dal governo Berlusconi. Annunci rimasti sulla carta e
opere pubbliche bloccate per anni sono l'eredità che il governo Berlusconi ha lasciato al Paese». Quanto all'Ara Pacis, Morassut ricorda che il museo dell'Ara Pacis di Richard Meier «è già oggi il terzo museo di Roma più frequentato dai turisti e dai cittadini romani». Un gradimento che smentisce le critiche delle ultime ore, mentre la questione delle condizioni del nuovo complesso, sottoposto a una pressione di visitatori che non era stata prevista, è stata affrontata dal sindaco di Roma Veltroni: «Abbiamo già provveduto a nominare una squadra di pulizie, la squadra è già pronta e comincerà il suo lavoro di ripulitura proprio in questi giorni». I lavori riguarderanno soprattutto la pulizia di impronte che hanno sporcato il bianco dei muri esterni della teca e il rifacimento di un pezzo di pavimento vicino all'Ara.

Ara Pacis «mostruosa», parola di Berlusconi

Ara Pacis «mostruosa», parola di Berlusconi
Raffaello Masci
La Stampa 04/05/2006

«La Scala sì, che è stata messa a posto in modo fantastico, nei tempi e nei costi giusti. Altro che l'Ara Pacis, che è una mostruosità». Il capo dell'opposizione Silvio Berlusconi non poteva proporre argomento migliore per alimentare la polemica, in questa stagione di interregno per il governo centrale e di vigilia elettorale per molti enti locali.
E' andato a toccare, infatti, un archetipo del dualismo italiano: Milano contro Roma, che diventa destra contro sinistra. La città del Nord, amministrata dalla Cdl, ha restaurato bene e con un occhio al portafoglio uno dei suoi monumenti più rappresentativi. L'altra - la Roma ladrona governata dai «comunisti» - ha scialacquato 15 milioni per tirare su un ecomostro, già definito «cesso orrendo» dal critico-ipercritico Vittorio Sgarbi e «una pompa di benzina», addirittura, dal principe Carlo.
Fatto sta che l'ultimo taglio di nastro pre-elettorale - il più spettacolare e pieno di lustro - del sindaco della capitale, Walter Veltroni, è quello che ha fatto inviperire di più la destra che, secondo tutti i sondaggi, arranca nella corsa verso il Campidoglio, pur avendo messo in campo un campione come Gianni Alemanno. E allora giù. Dagli all'Ara Pacis appena riaperta e a Richard Meier, l'architetto che ne è il discusso artefice.
«Non solo Berlusconi - ha detto Alemanno - ma anche Cossiga, Sgarbi, Portoghesi e molti altri urbanisti ed architetti hanno duramente criticato questo pessimo esempio di intervento invasivo nel cuore di un centro storico. Offro alla sinistra un'onorevole via d'uscita dopo le elezioni - conclude il candidato sindaco - individuiamo insieme la commissione che dovrà decidere in quale periferia trasferire questa teca».
Ma una «lezione» di gestione urbanistica da parte dei paladini dei condoni edilizi, il centrosinistra non l'ha voluta sentire: «Lascio ai veri esperti il giudizio sull'operato dello scorso governo in campo urbanistico e ambientale - ha commentato il coordinatore romano della Margherita Roberto Giachetti - e mi limito a ricordare le mostruosità autentiche con le quali l'ex premier ha sfigurato uno dei patrimoni naturalistici del Paese, il litorale di Porto Rotondo in Sardegna. Dopo l'anfiteatro, i laghetti, il bosco di cactus (tutte opere coperte dal segreto di Stato), il cosiddetto parco di Villa Certosa proprio due giorni fa è tornato a far parlare di sé: sembra che il Cavaliere abbia fatto innalzare una collina artificiale dalla quale, seduto su una panchina, si potrà rilassare e meditare davanti al mare».
La veemenza con cui il centrodestra si scaglia contro l'Ara Pacis - fa notare in conclusione Roberto Morassut, assessore all'Urbanistica e co-bersaglio insieme al sindaco di tutti gli strali polemici - mette allo scoperto «la debolezza dialettica dei nostri oppositori» che, in mancanza di argomenti verso un'amministrazione apprezzata dai cittadini «si lanciano in una campagna maniacale contro un monumento prima dimenticato e che già oggi, a due settimane dall'inaugurazione, è diventato il terzo museo più frequentato della città».

Ara Pacis, lite infinita Veltroni: «Già pronta la squadra per pulirla»

Ara Pacis, lite infinita Veltroni: «Già pronta la squadra per pulirla»
P.Fo.
Corriere della Sera (Roma) 04/05/2006

Silvio Berlusconi riaccende la lite fra i Poli sull'Ara Pacis. L'ex premier, a Milano, ha definito «una mostruosità» l'opera di Richard Meier inaugurata il 21 aprile. E ha dato il via a un vivace botta e risposta fra i protagonisti della politica capitolina, mentre Walter Veltroni - dopo la segnalazione del Corriere sulle impronte di scarpe che hanno subito offeso i muri della nuova teca - ha annunciato che è pronta una squadra per le pulizie. Inoltre, sarebbe già stata individuata la soluzione per impedire che le pareti vengano nuovamente sporcate: un corrimano impedirà ai turisti di sedersi sui muretti, lasciando poi le impronte sulle pareti.
«Abbiamo ristrutturato il Teatro della Scala realizzandolo in tempo e senza spendere un centesimo in più. Ogni riferimento alla mostruosità dell'Ara Pacis è assolutamente voluto»: questa è la dichiarazione di Berlusconi. Sulla scia dell'ex premier sono poi andati all'attacco gli esponenti romani della Cdl: «Sono bastati 15 giorni - ha detto Beatrice Lorenzin, coordinatrice nel Lazio di Forza Italia - e l'Ara Pacis già subisce le prime crepe. Gridano allo scandalo le foto apparse su un quotidiano (il Corriere, ndr). Sette anni di lavoro non sono bastati per ridare ai cittadini romani e ai suoi turisti nella sua interezza un monumento così importante». Secondo Fabio De Lillo, consigliere comunale di Forza Italia, «Roma non avrebbe risorse sufficienti per i servizi di primaria utilità ma non ha badato a spese per la non necessaria e non richiesta teca dell'Ara Pacis, una vergognosa bruttura, un insulto all'estetica». Anche gli esponenti di An sono stati durissimi. Il candidato sindaco Gianni Alemanno ha parlato di «intervento invasivo» e ha sottolineato che «dopo 15 giorni sta già cadendo a pezzi». Fabio Rampelli, capogruppo di An alla Regione, ha invece definito l'opera di Meier «un eco-mostro», e Marco Marsilio parla di «rifiuto dell'opera da parte del popolo romano». Sul fronte opposto, l'assessore comunale all'Urbanistica, Roberto Morassut, ha affermato che Alemanno «ha un'ossessione quasi maniacale» per l'Ara Pacis. Roberto Giachetti, coordinatore romano della Margherita, ha invece polemizzato con Berlusconi: «Ora che è tornato all'opposizione si scopre anche architetto e urbanista. Pensi invece a come lui stesso ha sfigurato il litorale di Porto Rotondo».

Con l'Ara Pacis Meier ha creato un nonluogo nel centro del luogo eterno

Con l'Ara Pacis Meier ha creato un nonluogo nel centro del luogo eterno
Camillo Langone
Il Foglio 05-05-2006

L'accusa più grave contro il mondo moderno è la sua architettura, ha scritto Nicolàs Gémez Dàvila, l'accusa più infamante contro Rutelli e Veltroni è l'Ara Pacis. Il nuovo ecomostro sul lungotevere testimonia la debolezza culturale di almeno un paio di sindaci romani. I palazzoni di Punta Perotti a Bari erano nulla in confronto, infatti i Matarrese, che pure hanno fama di grezzi, dimostrarono un certo garbo evitando di costruirli a pochi metri da San Nicola. Qui invece si edifica a pochi centimetri da San Rocco ovvero da Giuseppe Valadier, il sommo accordatore di armonie romane, vedi piazza del Popolo. A Rutelli collotorto nessuno in Vaticano ha detto che queste cose non si fanno, che ai santi si deve rispetto. E certo, a Roma il più pulito ha la rogna e tutti quanti tengono in grande considerazione Richard Meier. Nel corso di una crisi mimetica che per spiegarla ci vorrebbe René Girard, lo stesso architetto americano è stato chiamato dai preti per seppellire Cristo in una chiesa (la cosiddetta chiesa di Tor Tre Teste), dai politici per intombare Augusto in uno scatolone che Vittorio Sgarbi ha definito Bara Pacis e che merita guerra fino al suo abbattimento. Nel primo caso Meier non ha colpa: è ebreo, non crede alla divinità di Cristo e non sapeva quello che faceva costruendo una chiesa aniconica non quanto una moschea o una sinagoga (che lì almeno mettono dei ghirigori), di più, quanto un garage, in violazione di duemila anni di estetica e liturgia cattolica. Un disastro teologico in forma di capolavorino per studentesse di architettura, pareti bianche dove l'anima contempla se stessa (ovvio che le studentesse di architettura, anoressiche e narcise e buddizzanti, gradiscano). E su Tor Tre Teste la finisco qui, autocensura, non si chieda a un papalino di dire pubblicamente ciò che pensa di monsignor Ruini che ha gettato il denaro delle offerte domenicali dei fedeli in questa costosissima lavatrice a gettone. Torniamo all'Ara Pacis o meglio al suo invadente involucro. In questo caso Meier oltre a distruggere il precedente edificio di Vittorio Morpurgo, che non era stupendo ma essendo più piccolo faceva meno danno, è riuscito, re Mida al contrario, a trasformare un luogo in un nonluogo. Tor Tre Teste è una borgata periferica, difficile peggiorarla, ma piazza Augusto Imperatore è piazza Augusto Imperatore, lo dice anche il nome. Il fatto che in passato l'urbanista Mussolini ci sia andato con la mano pesante non doveva autorizzare nessuno a calpestarla di nuovo (da quando in qua il Puzzone è un precedente da far valere?). Dove non arrivano buon senso e buon gusto, dovrebbero arrivare le buone letture. Ma Rutelli gioca a golf e Veltroni scrive prefazioni, nessuno dei due ha il tempo di dare un'occhiata a Marc Augé. che pure scrive libri striminziti. Mai sentito nominare “Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità"? Possibile che nessun famulo si sia presa la bnga di evidenziare in giallo le righe essenziali dello studioso francese, per poi passarle ai capi indaffarati? Dicesi nonluogo quello spazio organizzato che può stare da qualunque parte, mare, montagna, città, campagna, Europa, America, Africa, Plutone. Sono nonluoghi i supermercati e gli autogrill, gli aeroporti e i parcheggi multipiano, luoghi di passaggio uguali in tutto il mondo, privi di identità e poveri di umanità. Finché un autogrill viene collocato su un'autostrada nulla da eccepire, ma quando lo si pianta nel cuore della Città Eterna i fatui committenti meritano la damnatio memoriae. “Chi è sradicato, sradica” ha scritto Simone Weil. La nuova Ara Pacis è un colossale sradicatore di storia e un applaudito tritasenso perché Richard Meier, come ogni geometra internazionale che si rispetti, esegue lo stesso straniante compitino in tutto il mondo. Con risultati diversi: se Rarbor Springs, Michigan, ha qualcosa da guadagnare nel somigliare a Roma, Roma ha tutto da perdere nel somigliare ad Ilarbor Springs, Michigan. Chi attacca Meier viene accusato di passatismo quando è uno studioso che anagraficamente potrebbe esserne il nipote, Giuliano da Empoli, a svelare l'idiozia della genuflessione indigena verso i picconatori anglofoni: “Il core business italiano è rappresentato dalla conservazione. Nella distribuzione globale del lavoro, l'Italia è sempre più il luogo nel quale chi lavora in luoghi innovativi, i trader di Houston e di Kuala Lumpur, vuole venire a passare un paio di weekend immersi nella bellezza e nel savoir-vivre”. Pertanto la nuova Ara Pacis deve essere distrutta.