martedì 17 marzo 2009

Ara Pacis: la fontana non spegne le critiche

Ara Pacis: la fontana non spegne le critiche
Giuseppe Pullara
Corriere della Sera, Roma, 12/10/2006

L'edificio che avvolge l'Ara Pacis è finalmente completato.
Visitatori e gente che sosta intorno alla fontana sembrano
indicare il gradimento della città per l'opera di Richard
Meier. Ma gli architetti esprimono giudizi contraddittori, in certi casi vere e proprie stroncature.
Paolo Portoghesi si dichiara «amico di Meier» ma sostiene di non trovare nell'opera sul Lungotevere «la sua genialità». «L'edificio, ora sgombro del cantiere, resta quattro volte fuori scala, è sproporzionato. Separando definitivamente la piazza dal fiume, getta il vicino mausoleo di Augusto sempre più in basso, come in fondo a un pozzo. La fontana poi - continua spietato Portoghesi - è ridicola se pensiamo alle gloriose fontane di Roma. Aspettavo di valutare il lavoro finito per rivedere l'impressione negativa avuta prima, ma non c'è niente da fare: quest'intervento architettonico resta una ferita nel centro storico, che era uscito indenne dall'assedio speculativo degli anni Sessanta». Lo storico dell'arte, progettista tra l'altro della Grande Moschea romana, conclude con un augurio: «Speriamo che questa faccenda serva da lezione per i romani, inducendoli - è un pensiero affettuoso per l'amico Richard - a non sacrificare in futuro la parte più preziosa della città a certe velleità creative».
Giudicato da Peter Eisenman «il più interessante architetto italiano», Franco Purini esprime una valutazione binaria: «La dimensione dell'edificio è eccessiva e le tre parti non sono organicamente connesse. Così pure non c'è un sufficiente accordo tra edificio e fronte stradale sul lato delle due chiese». Ma «trovo ben riuscito il sistema delle gradinate e della fontana dove Meier mi pare sia riuscito a captare un sentimento romano. L'edificio nel suo complesso sta entrando lentamente nel paesaggio urbano e in questa osmosi sarà aiutato dalla futura sistemazione della piazza, per cui è in attuazione un concorso». L'ottuagenario ma pimpantissimo Carlo Aymonino sta già preparando un suo solitario Capodanno a Dacca, per visitare la città di Louis Kahn. Si fa una risata: «L'Ara Pacis doveva restare dove fu trovata, a piazza S. Lorenzo in Lucina. Oggi il suo destino è terrificante, finita com'è in uno di quei "bus stop" che abbiamo visto nel film con Marilyn Monroe. Quest'opera non c'entra niente con Roma ed è troppo grande. La fontana e la scalinata sono solo - sentenzia l'autore del Gallaratese - artifici per aggiungere una qualche aura all'edificio. La chiesa di Meier a Tor Tre Teste, invece, quella sì che è bella».
Giorgio Ciucci, storico dell'architettura, concede elogi e critiche con parsimonia. «L'interno dell'edificio è piuttosto efficace, ha una bella luce fornita dalle ampie vetrate, n progettista ha ritrovato il livello con il Lungotevere attraverso una scalinata non brutta». E la fontana? «No, non va: risulta troppo "povera" rispetto sia all'antistante chiesa di fine Cinquecento di Martino Longhi e alle famose fontane di Roma». Secondo Ciucci «l'edificio di Meier non fa che esprimere il nostro tempo, così come le altre architetture della piazza e dell'intera città testimoniano le varie epoche. Roma è piena di contraddizioni e di linguaggi architettonici». Paolo Desideri, progettista della nuova stazione Tiburtina, vota a favore: «Se l'architettura italiana si esprimesse a tali livelli sarebbe risolto ogni problema. Il risultato finale dimostra bene il senso dell'operazione architettonica. Il fatto è che da 40 anni ci siamo disabituati alla legittimità dell'architettura contemporanea. La fontana è molto bella, e la caduta dell'acqua attenua il rumore del traffico».
L'ex sovrintendente archeologico Adriano La Regina gradisce l'insieme dell'opera, soprattutto la sua fruibilità interna. «I problemi, semmai, si aprono nel rapporto col contesto: sarebbe stato meglio procedere col rinnovo della piazza contemporaneamente all'edificazione del museo». Ma un problema c'è: «Quel bianco squillante delle superfici esterne è inedito per Roma, è difficile da accettare. Dove c'è il travertino va meglio». Giorgio Muratore, storico del contemporaneo, è al solito caustico: «A fine Opera sono confermati i difetti: è fuori scala, i materiali sono sbagliati, il progetto è volgare. Bernini può dormire tranquillo, se questi sono gli architetti d'oggi. Meier è un progettista finito, fu straordinario - decreta l'architetto Muratore - fino a 20 anni fa, negli Usa. In Europa non ne azzeccata una. Tutto sommato sarebbe meglio traslocare altrove l'Ara e usare l'edificio come sede per le pubbliche relazioni del Campidoglio».
Per finire, Vittorio Sgarbi, che bruciò davanti al cantiere il modellino in cartone del progetto di Meier: «Non salvo nulla di questo intervento: è una ferita urbana senza rimedio. L'opera è sovradimensionata, invasiva, compromette il rapporto tra piazza e Tevere. Del resto - ricorda con piacere l'assessore alla Cultura di Milano - è stato il New York Times a stroncarla: non basta?».

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