lunedì 5 maggio 2008

Alemanno mette la Teca ai voti. Sgarbi non la vuole e si sente assessore

Alemanno mette la Teca ai voti. Sgarbi non la vuole e si sente assessore
Il Riformista 1/5/2008

Due anni fa aveva promesso che da sindaco avrebbe smontato la Teca dell'Ara Pacis firmata dall'americano Richard Meier; ieri, in Campidoglio, Gianni Alemanno ha ricordato che manterrà la promessa. E coinvolgerà i cittadini con un referendum. Per Vittorio Sgarbi, che aveva affiancato Alemanno nell'uscita anti-teca, considerando l'opera di Meier un «cesso», è una vittoria che lo spinge a candidarsi, «moralmente», ad assessore alla cultura nella Roma alemanna. Per Francesco Bonami, invece, questa «deportazione» sarebbe l'inizio di uno scempio. «Allora bisogna portare in periferia anche l'Altare della patria, che è bruttissimo!».
Al telefono da New York, Bonami è convinto che «un politico che vince non dovrebbe iniziare a smontare e spostare tutto, altrimenti succede un casino. Con questo principio si raddrizza la Torre di Pisa, si chiude via della Conciliazione... A me non piaceva molto, la Teca, ma è stata fatta perché c'era una necessità, sociale ed estetica. Ed è diventata un segno della città, un segno contemporaneo, peraltro. Rimuoverla è qualcosa che può dare l'inizio alla decostruzione di tutta la città, qualcosa di contro-attuale. E poi, se siamo per smontare i monumenti e portarli altrove, direi che la prossima tappa deve essere l'Altare della patria».
Per Bonami, c'è un'aggravante nel ragionamento di Alemanno. «Ma come, proprio lui aveva detto che la sinistra trascurava le periferie e cosa vuole fare? Spostarla in periferia? Vuoi dire che per Alemanno le periferie sono una discarica. Per completare questo ragionamento, invece, la chiesa di Mejer, che secondo me è molto bella, la porteranno al centro».
Vittorio Sgarbi, invece, è euforico. «Se Alemanno smonterà la Teca dell'Ara Pacis dimostrerà che è possibile ciò che per alcuni è impossibile. Quella teca era un delitto contro la città. Si può dire che Rutelli e Veltroni abbiano perso, simbolicamente, per questo mostro che ha offeso San Cosimato». Da assessore moralmente aggiunto al comune di Roma alemannizzato, Sgarbi rilancia. «Non dico che va distrutta e basta. Bisogna anche portare l'Ara Pacis, che è un bene dello Stato, e infatti io provai a sottrarla alla Teca di Meier, al Museo delle Terme. Poi, recuperare il progetto di Tamburrino, di Italia nostra, per il porto di Ripetta. Così Alemanno farebbe una grande opera pubblica, altro che Ponte sullo Stretto».
Sgarbi ricorda anche altri errori storico-culturali dell'era Rutelli-Veltroni sono stati la «restituzione dell'obelisco di Axum» - forse trasogna una contro-restituzione all'Italia - e la festa del cinema di Roma. «Chiuderla sarebbe un favore che Alemanno non dovrebbe fare a Cacciari, immagino che sulla festa bisognerà però instaurare un rapporto e un dialogo con Venezia. Roma non può essere un polo alternativo a Venezia, deve essere una festa alternativa, non in concorrenza con la mostra». Per Sgarbi, il lavoro di Alemanno sarà «oneroso e divertente perché molte cose fatte per automatismo andranno riviste con decisione. Penso al Nuovo Salario, che va sistemato o alla montagnola di Montecitorio. Come è stato possibile interrare i gradini del Bernini?». Non è imputabile a Rutelli o Veltroni, ma ci tiene a proporre di risolverla, la questione della statua di Marc'Aurelio. Per Sgarbi, «l'Ara Pacis può stare dentro un museo, come l'Ara di Pergamo, a Berlino, mentre la statua di Marc'Aurelio, quella originale, deve tornare al suo posto, in piazza. Anche La Regina, da archeologo, ha sempre detto che può stare fuori, che non si rovina».

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