C'era una volta l'Ara. Ora l'altare di Augusto sembra un terminal
LV.
Secolo d'Italia, 16 aprile 2006
Per "celebrare" i suoi 2579 anni Roma si fa un regalo da 13 milioni di euro. Dopo 12 anni di lavori, il 21 aprile riapre l'Ara Pacis, il più antico e famoso altare della capitale, voluto da Augusto nel 9 avanti Cristo e contenuto nella modernissima teca di vetro e travertino disegnata dall'architetto americano, Richard Meier. Ma alla vigilia dell'apertura fioccano le polemiche.
Sulla questione l'agenzia di stampa "il Velino" ha tracciato una impietosa analisi. «Per quelli del Tridente -scrive il Velino -il capolavoro urbanistico, quello sì, che fa convergere in Piazza del Popolo via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, dal 1994 - l'anno della "pensata" dell'allora sindaco Rutelli - il cantiere dei lavori di Meier & Partners in piazza Augusto Imperatore, è stato meta e fonte di divertimento infinito. Intorno alla recinzione orribilmente lamierata, è stato per anni un fiorire di ta tse bao, graffiti, tutti indelebilmente insolentì nei confronti del progetto. Spesso firmati da architetti stranieri a Roma in veste di turisti, qualcuno plebeamente arricchito di minacce di morte ai deturpatori, alcuni vere pasquinate degne di Roma». «Gli "operatori ecologici" dell'Ama - commenta l'articolista - ì monnezzari come si dice a Roma, non facevano in tempo a rimuovere graffiti che mille altri ne fiorivano. E, a un certo punto, l'unico modo per impedire ai passanti di imbrattare i grandi manifesti che illustravano il progetto, fu di rimuoverli tout court e lasciare ignude le recinzioni in lamiera. Ma i graffiti fioccavano lo stesso. Uno dei commenti più frequenti, in ogni idioma del mondo, era: "Che e... ci fa questo terminal d'aeroporto a fianco alle chiese barocche di san Rocco e san Girolamo dei Croati? ". Bella domanda: si trovano a meno di cinquanta metri dalla nuova Ara Pacis». Impietosamente il Velino ricorda che «i turisti si fermavano appoggiati al parapetto del Lungotevere di Ripetta per ammirare con un solo colpo d'occhio la vecchia Ara Pacis, sì, il cubo di cemento che ospitava al suo interno il mirabile monumento, e le due chiese affiancate,
come gemelle siamesi. Beh, non si potrà più farlo, la vista impedita dal nuovo miracolo architettonico». Secondo l'agenzia, «caso mai è più preoccupante il fatto che si siano voluti dodici anni per arrivare a finire questo edificio che nell'ottica della "visione ye ye" secondo cui bisognava dare a Roma grande architettura moderna, si scelse, per fare "i fichi", di installare in una piazza tanto particolare. Tanto travagliata dalla storia».
L'articolista ricorda a quanti non conoscono Roma che «da un lato della piazza l'altro lato non si vede, dovunque uno si sistemi: in mezzo infatti sorge una sorta di collina, l'Augusteo, all'interno del quale - a leggere le targhe in marmo - sono sepolti tutti: alcuni imperatori, compreso Caligola, Nerone, qualche Giulia, perfino Poppea, una sorta di sacrario alla famiglia imperiale allargata».
Ma le note dolenti non finiscono qui: «Apprezzato vespasiano di tutti i cani del centro storico, circondato di ameni giardinetti (vera discarica urbana ospita anche materassi abbandonati e qualche volta si incontra un vecchio frigo che piange sommessamente in un angolo, il tutto a cento metri dal locale comando pretorio dell'Arma in Passeggiata di Ripetta) il monumento è diretto dirimpettaio dell'Ara Pacis. Alla sinistra della quale, all'inizio di via Ripetta, sorge l'ottocentesco ferro di Cavallo, con tanto di Accademia di Belle Arti e Liceo artistico: umbertino e Meier fianco a fianco. Per i tre lati restanti della piazza, oltre le due splendide chiese barocche nascoste in un angolino, a destra dell'Ara Pacis, un tripudio di neoclassico fascista, tutto un inneggiare (con vistose scritte e mosaici di virili seminatori) all'aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende. Tutto un porticato di marmorea romanità - conclude il Velino - che la notte è pietoso e prezioso usbergo di tutti i barboni del Tridente. Il terminal aeroportuale con vetri fumé di Richard Meier ci starà da Dio».
LV.
Secolo d'Italia, 16 aprile 2006
Per "celebrare" i suoi 2579 anni Roma si fa un regalo da 13 milioni di euro. Dopo 12 anni di lavori, il 21 aprile riapre l'Ara Pacis, il più antico e famoso altare della capitale, voluto da Augusto nel 9 avanti Cristo e contenuto nella modernissima teca di vetro e travertino disegnata dall'architetto americano, Richard Meier. Ma alla vigilia dell'apertura fioccano le polemiche.
Sulla questione l'agenzia di stampa "il Velino" ha tracciato una impietosa analisi. «Per quelli del Tridente -scrive il Velino -il capolavoro urbanistico, quello sì, che fa convergere in Piazza del Popolo via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, dal 1994 - l'anno della "pensata" dell'allora sindaco Rutelli - il cantiere dei lavori di Meier & Partners in piazza Augusto Imperatore, è stato meta e fonte di divertimento infinito. Intorno alla recinzione orribilmente lamierata, è stato per anni un fiorire di ta tse bao, graffiti, tutti indelebilmente insolentì nei confronti del progetto. Spesso firmati da architetti stranieri a Roma in veste di turisti, qualcuno plebeamente arricchito di minacce di morte ai deturpatori, alcuni vere pasquinate degne di Roma». «Gli "operatori ecologici" dell'Ama - commenta l'articolista - ì monnezzari come si dice a Roma, non facevano in tempo a rimuovere graffiti che mille altri ne fiorivano. E, a un certo punto, l'unico modo per impedire ai passanti di imbrattare i grandi manifesti che illustravano il progetto, fu di rimuoverli tout court e lasciare ignude le recinzioni in lamiera. Ma i graffiti fioccavano lo stesso. Uno dei commenti più frequenti, in ogni idioma del mondo, era: "Che e... ci fa questo terminal d'aeroporto a fianco alle chiese barocche di san Rocco e san Girolamo dei Croati? ". Bella domanda: si trovano a meno di cinquanta metri dalla nuova Ara Pacis». Impietosamente il Velino ricorda che «i turisti si fermavano appoggiati al parapetto del Lungotevere di Ripetta per ammirare con un solo colpo d'occhio la vecchia Ara Pacis, sì, il cubo di cemento che ospitava al suo interno il mirabile monumento, e le due chiese affiancate,
come gemelle siamesi. Beh, non si potrà più farlo, la vista impedita dal nuovo miracolo architettonico». Secondo l'agenzia, «caso mai è più preoccupante il fatto che si siano voluti dodici anni per arrivare a finire questo edificio che nell'ottica della "visione ye ye" secondo cui bisognava dare a Roma grande architettura moderna, si scelse, per fare "i fichi", di installare in una piazza tanto particolare. Tanto travagliata dalla storia».
L'articolista ricorda a quanti non conoscono Roma che «da un lato della piazza l'altro lato non si vede, dovunque uno si sistemi: in mezzo infatti sorge una sorta di collina, l'Augusteo, all'interno del quale - a leggere le targhe in marmo - sono sepolti tutti: alcuni imperatori, compreso Caligola, Nerone, qualche Giulia, perfino Poppea, una sorta di sacrario alla famiglia imperiale allargata».
Ma le note dolenti non finiscono qui: «Apprezzato vespasiano di tutti i cani del centro storico, circondato di ameni giardinetti (vera discarica urbana ospita anche materassi abbandonati e qualche volta si incontra un vecchio frigo che piange sommessamente in un angolo, il tutto a cento metri dal locale comando pretorio dell'Arma in Passeggiata di Ripetta) il monumento è diretto dirimpettaio dell'Ara Pacis. Alla sinistra della quale, all'inizio di via Ripetta, sorge l'ottocentesco ferro di Cavallo, con tanto di Accademia di Belle Arti e Liceo artistico: umbertino e Meier fianco a fianco. Per i tre lati restanti della piazza, oltre le due splendide chiese barocche nascoste in un angolino, a destra dell'Ara Pacis, un tripudio di neoclassico fascista, tutto un inneggiare (con vistose scritte e mosaici di virili seminatori) all'aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende. Tutto un porticato di marmorea romanità - conclude il Velino - che la notte è pietoso e prezioso usbergo di tutti i barboni del Tridente. Il terminal aeroportuale con vetri fumé di Richard Meier ci starà da Dio».
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