lunedì 17 agosto 2009

La nuova Ara Pacis tra vetrate e vetriolo

La nuova Ara Pacis tra vetrate e vetriolo
Alessandra Rubenni
22/04/2006, L'Unità, Roma

Chi lo guarda con diffidenza, chi con piacere. Qualcuno loda l’effetto dirompente, altri allargano le braccia: ormai il Museo di Meier c’è e finalmente possono partire i nuovi progetti per ricucire quel pezzo di città con il fiume. Tempo due settimane e arriverà il concorso internazionale per ridisegnare il quadrilatero di piazza Augusto Imperatore. E poi si parla del progetto più accattivante, quello per incanalare il traffico del lungotevere nel futuro sottopasso. Fra tante voci, la più serafica è di Bernardo Bertolucci. «C’è una leggerezza quasi liquida... È come se l’Ara Pacis galleggiasse in una luce liquida», sussurra il regista uscendo dalla nuova teca che protegge il monumento augusteo. Lì fuori ha trovato un’altra sorpresa: il basamento della vecchia teca, vale a dire il muro delle Res Gestae dove si narrano le gesta dell’imperatore, è stato inglobato nell’opera firmata da Richard Meier.
«Sono contento che sia rimasta la scritta che avevo inserito nel mio film Il conformista».
Gli architetti, intanto, si addentrano nelle questioni di merito.
Conciso e malizioso Massimiliano Fuksas: le polemiche sull’Ara Pacis?
«Roma è in grado di superare ed assorbire tutto. Speriamo in un futuro migliore», dice l’archistar che ha progettato la “Nuvola” dell’Eur.Mentre Franco Purini, altro grande nome dell’architettura, giudica l’opera «buona». «Inizialmente pensavo fosse possibile recuperare la teca di Morpurgo, ma non è stato possibile. Ora - si schiera Purini - accolgo con favore questa nuova opera, che però pone dei problemi da approfondire, come il rapporto con il fronte che si affaccia su via di Ripetta, che ha una struttura urbanistica molto severa: adesso c’è un elemento dissonante e ci vorrà molta cura per riorganizzare la piazza in modo da riassorbirlo nella tessitura romana. In ogni caso - conclude il progettista - sono assolutamente d’accordo con il progetto per recuperare l’affaccio sul Tevere, realizzando un sottopasso in cui incanalare il traffico e ricavare parcheggi. È l’idea che io avevo avuto 40 anni fa».

Ma naturalmente tutto dipende dai punti di vista.
Il pittore Gianni Dessì, ad esempio, ne ha uno molto più provocatorio. «All’inizio non pensavo che quest’intervento fosse necessario, mi sembrava una scelta azzardata. Ora che c’è - confessa l’artista romano - non mi dispiace per niente. Si vede da chilometri che è opera di un architetto che sa cosa fa».
I progetti per la piazza, Dessì ammette di non conoscerli. «Ma non credo che si debba armonizzare quello spazio. Quello che mi piace - prosegue - è l’accostamento forte e arbitrario. Il fatto che quell’opera sia incastonata con violenza in quel paesaggio».
A rispolverare tutti i punti contestati al progetto di Meier in 10 anni di diatribe ci pensa invece Leonardo Benevolo, urbanista di fama internazionale, che tuttavia salva l’opera dell’architetto newyorkese. «È un buon progetto su un programma assolutamente sbagliato», decreta il professore. Perché Meier è un maestro, ma gli hanno chiesto di fare la cosa sbagliata, ovvero realizzare «stanze e stanzette» intorno all’Ara Pacis, quando il monumento romano aveva soltanto bisogno di una teca moderna per sostituire quella del ’38, che cadeva a pezzi. Invece ora «l’edificio di Meier si sovrappone all’antico porto di Ripetta. E adesso il vero pericolo - ammonisce Benevolo - è che si faccia il sottopasso del Lungotevere, distruggendo definitivamente quello che resta del porto di Ripetta e rendendo impossibile il grande progetto di liberare la riva sinistra del Tevere da lì fino alla Bocca della Verità, che è una delle grandi possibilità del futuro».
Insomma, bisognava pensarci prima. E anche la soprintendente archeologica di Ostia Antica, Anna Galina Zevi, a suo tempo forse avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla decisione di lasciare l’Ara Pacis nel punto in cui fu piazzata in epoca fascista. «Ma io sono un’archeologa - premette Galina Zevi col sorriso - e in più sono vecchia e anche cogliona... ma questa è una cosa che condivido con molti. Penso che l’involucro esterno sia un po’ da digerire, ma all’interno il monumento si vede bene. Di certo, questa struttura lascia un segno forte ed è un ulteriore elemento che sorge proprio dove, nell’antichità, c’era un’apertura verso il fiume. Ma è positivo se tutto questo riapre una discussione e si pensa a recuperare il rapporto dei monumenti con il Tevere».


Lo spazio costruito da Richard Meier, intorno all’Ara Pacis (così come quello realizzato da Carlo Aymonino per il Marco Aurelio), consente di vedere il monumento in condizioni incomparabilmente migliori. Nella cosiddetta teca di Morpurgo, opera più probabilmente di un anonimo ufficio tecnico, il visitatore soffocava: qui ha spazio, aria, luce. Questo dev’essere il punto di partenza di ogni ragionamento. In certi particolari, come il raccordo tra la parete di vetro ed il muro di travertino, felice omaggio al carattere della città di Roma, Richard Meier ha anche saputo dare una lezione di stile. A questo punto bisogna «far lavorare» la città, lasciare che il nuovo monumento si sottoponga alla critica dell’uso e della vita quotidiana. Insistere nelle stesse polemiche che per sette anni hanno accompagnato il lavoro di Meier mi sembrerebbe un atteggiamento da «ultimi giapponesi». Nello stesso tempo, mi domando come mai Meier non raggiunga, almeno completamente, in quest’opera, la stessa felicità che aveva colpito e meravigliato i romani nella chiesa di Tor Tre Teste. L’architetto, mi rispondo, è come una spugna, è sensibile all’ambiente in cui agisce, e sicuramente su Meier ha pesato una certa insicurezza. Riflesso dell’incertezza in primo luogo della stessa committenza, il Comune di Roma, su punti decisivi, come il rapporto con le due Chiese, con il Tevere e con il Lungotevere, e soprattutto con la piazza realizzata per Mussolini, isolando l’Augusteo, da Ballio Morpurgo nell’occasione particolarmente simbolica del Bimillenario di Augusto: rendendo oscillanti persino le dimensioni del nuovo Museo. Ripensamenti, dubbi, soluzioni non felici (come il raccordo tra le quattro colonne che circondano l’Ara ed il soffitto), sono ben visibili. Possiamo perciò domandarci quale sarebbe stato il risultato se il nuovo Museo fosse stato il risultato di un Concorso Internazionale, e non di un’iniziativa diretta dell’allora Sindaco Rutelli. I bandi di concorso hanno anche questo pregio: che obbligano (o almeno dovrebbero) la committenza a chiarire fin nei dettagli le proprie intenzioni. Ed augurarci che ilConcorso internazionale per la piazza che il Comune bandirà tra pochi giorni riesca a risolvere i non pochi problemi rimasti aperti. Anche una città ricca di storia come Roma, poiché è una città che vive nel presente, è infatti in primo luogo una città contemporanea. Ma affermarne la modernità richiede un’opera di progettazione complessa e strutturata; che non si risolve certo con l’apposizione della griffe di qualche architetto di prestigio internazionale.

Il primo giorno d’apertura comincia tra la calca che preme per entrare nel nuovo Museo dell’Ara Pacis, con un esercito di giornalisti in testa, moltissimi stranieri, telecamere e flash. E dall’altro lato di piazza Augusto Imperatore, con la contestazione che sventola le bandiere nere col simbolo della Fiamma Tricolore. Per il progetto di Richard Meier, non sono bastati 10 anni di polemiche e intoppi burocratici: dopo l’annuncio di Alemanno, che vorrebbe smontare la teca dell’architetto newyorkese, arrivano anche le teste rasate. Ma le urla non oltrepassano il cancello del cantiere. All’entrata, il sindaco Veltroni abbraccia Meier. Poi una volata sui gradini della piazza d’accesso - lì dove a settembre, quando i lavori saranno definitivamente conclusi, zampillerà la fontana - e infine, schierati gli assessori capitolini all’Urbanistica e alla Cultura, e soprintendente comunale Eugenio La Rocca, il bagno di folla, a scaglioni. Alle 10 c’è un’orda di cronisti e architetti. Poi arriva l’infornata di curiosi, turisti italiani e stranieri, ministeriali e attori. Tutti a sfilare fra le pareti di cristallo che si stagliano sul lungotevere, 1.500 metri quadri di vetrate, che lasciano fuori l’inquinamento e il frastuono del traffico. Al centro della sala grande c’è l’Ara Pacis; sotto, la galleria dove saranno raccolti 500 frammenti del monumento e un’altro altare romano, l’Ara Pietatis. Lì accanto, aprirà l’auditorium da 200 posti. E Veltroni festeggia una giornata speciale. L’Ara Pacis finalmente è al riparo dalle intemperie e anche le polemiche più informate si sono calmate. «Non c’è opera architettonica, in qualsiasi città del mondo, che non sia stata oggetto di discussioni. Ma le città - dice il sindaco - sono un intreccio di tutela e di capacità di creare bellezza ». E Meier, emozionato davanti alla folla che riempie la sua teca, rilancia: «Spero che quando la gente verrà qui, in futuro, pensi al ruolo della pace nel mondo». Il pubblico intanto si divide nei giudizi. «È stupendo» per Arianna Ricci, che capeggia un gruppetto di un istituto d’arte. «Avrebbe potuto essere più leggero. Ma è positivo il fatto che sia creato uno spazio culturale in una zona desolata, com’era piazza Augusto Imperatore », dice Paul Zanker, noto studioso di archeologia. Intanto i direttori dei lavori, che hanno affiancato Meier, studiano la reazione della gente. E il titolare della ditta che ha fornito il travertino si fa fotografare davanti ai cartelli del cantiere, mentre arriva anche Francesco Rutelli. Lui, che nel ’97 diede a Meier l’incarico diretto di progettare l’opera, anziché indire un concorso, come i più avrebbero voluto. «Il dubbio che un lavoro possa venire meglio c’è sempre, anche con un concorso. Le polemiche sono possibili - dice Rutelli - ma poi bisogna guardare il risultato. A me sembra bellissimo».

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