L'Ara Pacis come i pacs Veltroni scambia il lungotevere per le strade della California
Ettore Gentili
Il Secolo d'Italia 25-05-2006
La nuova teca dell'Ara Pacis rimane l'argomento più dibattuto della cronaca romana in questa conclusione di campagna elettorale. Le polemiche non si sono placate neanche dopo l'apertura della sala espositiva: anzi, sembra che l'opera dell'architetto californiano Richard Meier stia catalizzando un crescendo di malumore che travalica gli schieramenti d'appartenenza e le differenze generazionali. E un dato di fatto: la giunta Veltroni ha partorito un vero e proprio mostro. Certo, con l'Auditorium di Renzo Piano aveva fatto le prove generali, ma un po' per l'ubicazione più periferica, un po' per la più sobria intonazione di colori, lo scandalo in quell'occasione non c'era stato fino in fondo, nonostante l'irrimediabile manomissione del contesto architettonico e ambientale compreso tra le due colline dei Parioli e di Villa Glori. Il cantiere per la nuova teca dell'Ara Pacis ha invece suscitato un'imprevista partecipazione popolare: anche gli studenti della vicina Accademia d'Arte e i semplici passanti hanno detto la loro, scrivendo sulle recinzioni frasi spesso ingiuriose contro l'opera, il sindaco e il progettista. E il motivo di tanta aggressiva contestazione non è specioso o polemico, è anzi serissimo, poiché riguarda il futuro stesso della città. Il nuovo edificio ha senz'altro lacerato il tessuto monumentale con l'inserimento di un unicum architettonico che volutamente denuncia La sua mancanza di legame con La trama storica e che finisce per scardinare l'intero valore culturale del reticolo urbano. Le responsabilità? Su tutta la vicenda ha pesato la complicità della Sovrintendenza ai Beni culturali e monumentali di Roma, che non solo ha lasciato demolire la precedente teca dell'architetto Morpurgo, c mai storicizzata dopo settant'anni, né ha impedito il considerevole aumento di saeoma. cubatura e funzioni all'interno di una centralissima zona archeologica, ma quel che è peggio non ha valutato il contesto urbano, cioè la rete edilizia del centro storico, come un valore in se da tutelare integralmente ed impedirne sostanziali modificazioni. li nuovo scatolone di vetro progettato dall'architetto Meier non è piaciuto alla gente comune soltanto perché si tratta di un'architettura goffa, fuori scala e volgare rispetto al contesto. L'edificio è stato rigettato dalla gran parte della popolazione perché rappresenta un'evidente minaccia ai valori in cui i romani continuano a credere e attorno ai quali nei millenni si è formata la città. L'opera dell'architetto Meier snatura il centro storico di Roma attraverso l'inserimento di un volume schematico e gigantesco. Mai finora nelle zone monumentali del centro erano state inserite delle architetture “bianco-neve” con superfici vetrate così grandi. Quest'operazione nel cuore dell'area piò antica crea un pericoloso precedente volto a spezzare con l'isolato gesto di un individualista un codice collettivo consolidato che viene studiato in ogni parte del mondo e in cui i romani continuano a identificarsi. Purtroppo quindi — consapevolmente o no — la popolazione s'è accorta che l'opera di Meier ha volgarmente ferito dei valori condivisi, minacciando il futuro stesso di Roma con un'operazione che richiama per la sua carica dirompente i pacs, la legge sulle unioni di fatto anche tra soggetti dello stesso sesso. Nell'opera dell'architetto californiano la volontà individualista prevale sul tessuto urbano così come i pacs possono polverizzare l'ordine sociale. Non è un caso che tutti i movimenti di deregolamentazione coniugale e sessuale si siano formati in California, un luogo dove il contesto non ha alcun valore e dove il gesto individuale non rischia di diventare l'affermaziòne prevaricante su un modo di sentire comune e sulla storia sedimentata. Ma a Roma è diverso, milioni di turisti vengono nella capitale italiana per passeggiare a Trastevere e per confrontarsi con la storia, non certo per vedere i centri commerciali sul raccordo anulare che sono simili a quelli di Dallas o di Singapore. La conservazione integrale del centro di Roma non vuoi dire ingessare la città, che invece nella costruzione dei nuovi quartieri può liberare le sue migliori energie in sintonia con il procedere moderno dei tempi e delle mode. Pertanto, soprattutto a quei giovani, che sono forse ignari dell'enorme significato simbolico che la partita dell'Ara Pacis rappresenta, ma che hanno letteralmente ricoperto d'insulti i cartelloni intorno al cantiere, è doveroso far sapere che il Comune di Roma ha già stanziato 40 milioni di euro per realizzare davanti al nuovo scatolone vetrato un sottopasso automobilistico a tre corsie con soprastante piastra in cemento armato, ovviamente munito di guard rail e di segnaletica luminosa come se per l'appunto fossimo a Los Angeles. Così che se appare lecito coltivare dei dubbi sulla demolizione del costoso edificio veltroniano, non si potrà più tollerare che quanti hanno finora gridato allo scandalo non s'impegnino per impedire la ferita dell'ennesimo inutile sottopasso viario. Oppure, sia chiaro a tutti che quando anche questo nuovo scempio sull'area dell'antico porto di Ripetta sarà compiuto, l'alterazione della memoria non avrà più fine e che per l'Urbe non rimarrà nient'altro che la globalizzazione di un unico tempo presente: quello della tv, delle automobili e dei centri commerciali.
Ettore Gentili
Il Secolo d'Italia 25-05-2006
La nuova teca dell'Ara Pacis rimane l'argomento più dibattuto della cronaca romana in questa conclusione di campagna elettorale. Le polemiche non si sono placate neanche dopo l'apertura della sala espositiva: anzi, sembra che l'opera dell'architetto californiano Richard Meier stia catalizzando un crescendo di malumore che travalica gli schieramenti d'appartenenza e le differenze generazionali. E un dato di fatto: la giunta Veltroni ha partorito un vero e proprio mostro. Certo, con l'Auditorium di Renzo Piano aveva fatto le prove generali, ma un po' per l'ubicazione più periferica, un po' per la più sobria intonazione di colori, lo scandalo in quell'occasione non c'era stato fino in fondo, nonostante l'irrimediabile manomissione del contesto architettonico e ambientale compreso tra le due colline dei Parioli e di Villa Glori. Il cantiere per la nuova teca dell'Ara Pacis ha invece suscitato un'imprevista partecipazione popolare: anche gli studenti della vicina Accademia d'Arte e i semplici passanti hanno detto la loro, scrivendo sulle recinzioni frasi spesso ingiuriose contro l'opera, il sindaco e il progettista. E il motivo di tanta aggressiva contestazione non è specioso o polemico, è anzi serissimo, poiché riguarda il futuro stesso della città. Il nuovo edificio ha senz'altro lacerato il tessuto monumentale con l'inserimento di un unicum architettonico che volutamente denuncia La sua mancanza di legame con La trama storica e che finisce per scardinare l'intero valore culturale del reticolo urbano. Le responsabilità? Su tutta la vicenda ha pesato la complicità della Sovrintendenza ai Beni culturali e monumentali di Roma, che non solo ha lasciato demolire la precedente teca dell'architetto Morpurgo, c mai storicizzata dopo settant'anni, né ha impedito il considerevole aumento di saeoma. cubatura e funzioni all'interno di una centralissima zona archeologica, ma quel che è peggio non ha valutato il contesto urbano, cioè la rete edilizia del centro storico, come un valore in se da tutelare integralmente ed impedirne sostanziali modificazioni. li nuovo scatolone di vetro progettato dall'architetto Meier non è piaciuto alla gente comune soltanto perché si tratta di un'architettura goffa, fuori scala e volgare rispetto al contesto. L'edificio è stato rigettato dalla gran parte della popolazione perché rappresenta un'evidente minaccia ai valori in cui i romani continuano a credere e attorno ai quali nei millenni si è formata la città. L'opera dell'architetto Meier snatura il centro storico di Roma attraverso l'inserimento di un volume schematico e gigantesco. Mai finora nelle zone monumentali del centro erano state inserite delle architetture “bianco-neve” con superfici vetrate così grandi. Quest'operazione nel cuore dell'area piò antica crea un pericoloso precedente volto a spezzare con l'isolato gesto di un individualista un codice collettivo consolidato che viene studiato in ogni parte del mondo e in cui i romani continuano a identificarsi. Purtroppo quindi — consapevolmente o no — la popolazione s'è accorta che l'opera di Meier ha volgarmente ferito dei valori condivisi, minacciando il futuro stesso di Roma con un'operazione che richiama per la sua carica dirompente i pacs, la legge sulle unioni di fatto anche tra soggetti dello stesso sesso. Nell'opera dell'architetto californiano la volontà individualista prevale sul tessuto urbano così come i pacs possono polverizzare l'ordine sociale. Non è un caso che tutti i movimenti di deregolamentazione coniugale e sessuale si siano formati in California, un luogo dove il contesto non ha alcun valore e dove il gesto individuale non rischia di diventare l'affermaziòne prevaricante su un modo di sentire comune e sulla storia sedimentata. Ma a Roma è diverso, milioni di turisti vengono nella capitale italiana per passeggiare a Trastevere e per confrontarsi con la storia, non certo per vedere i centri commerciali sul raccordo anulare che sono simili a quelli di Dallas o di Singapore. La conservazione integrale del centro di Roma non vuoi dire ingessare la città, che invece nella costruzione dei nuovi quartieri può liberare le sue migliori energie in sintonia con il procedere moderno dei tempi e delle mode. Pertanto, soprattutto a quei giovani, che sono forse ignari dell'enorme significato simbolico che la partita dell'Ara Pacis rappresenta, ma che hanno letteralmente ricoperto d'insulti i cartelloni intorno al cantiere, è doveroso far sapere che il Comune di Roma ha già stanziato 40 milioni di euro per realizzare davanti al nuovo scatolone vetrato un sottopasso automobilistico a tre corsie con soprastante piastra in cemento armato, ovviamente munito di guard rail e di segnaletica luminosa come se per l'appunto fossimo a Los Angeles. Così che se appare lecito coltivare dei dubbi sulla demolizione del costoso edificio veltroniano, non si potrà più tollerare che quanti hanno finora gridato allo scandalo non s'impegnino per impedire la ferita dell'ennesimo inutile sottopasso viario. Oppure, sia chiaro a tutti che quando anche questo nuovo scempio sull'area dell'antico porto di Ripetta sarà compiuto, l'alterazione della memoria non avrà più fine e che per l'Urbe non rimarrà nient'altro che la globalizzazione di un unico tempo presente: quello della tv, delle automobili e dei centri commerciali.
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